La Milano che si astiene ha già la pancia piena

La metropoli snobba il referendum perché ottiene quanto le serve senza aspettare il Pirellone

La Milano che si astiene ha già la pancia piena

Ci sono due cose, almeno due da non fare quando si ha la pancia piena: andare a far la spesa al supermercato e votare. Si spiega così il fatto che nel Veneto il numero delle schede al referendum per l'autonomia abbia raggiunto la maggioranza assoluta (2 milioni e 274mila su 4 milioni di aventi diritto), mentre nell'opulenta Lombardia l'indubbio successo si sia fermato sotto la soglia di un comunque ottimo 40 per cento. E ancor di più che a riempire i granai siano state le meno ricche valli bresciane e bergamasche, i territori delle province più che le città e le periferie disagiate dei centri urbani più che i salotti buoni. Una mappa del voto già abbondantemente prevista alla vigilia, ma che ha confermato una sociologia del consenso che era già emersa alle ultime elezioni con i quartieri buoni a scegliere i profili sinistri, ma manageriali e rassicuranti dei sindaci Giorgio Gori a Bergamo e Beppe Sala a Milano, così come quello del candidato governatore della sinistra Umberto Ambrosoli sconfitto da Roberto Maroni nel 2013.

Un insuccesso annunciato, dunque, quello del referendum per l'autonomia a Milano città che con il suo 26,34 per cento fa crollare la percentuale di un'intera regione dove la provincia di Bergamo ha raggiunto addirittura un picco del 47,37 per cento. Venti punti di differenza che rappresentano anche plasticamente tutto il significato politico della domanda sottesa al quesito costituzionale su cui il lombardoveneto è stato chiamato a esprimersi. Perché è chiaro che i buoni borghesi che vivono nei grattacieli delle archistar o nei quartieri diventati ancora più ricchi in questi anni del Rinascimento di Milano, non sentono un particolare bisogno di soddisfare un ventre già sazio con la richiesta di ulteriori risorse. Ben altra faccenda sono le banlieue islamizzate e ormai abbandonate da uno Stato rassegnato che nemmeno più riesce a entrare nei casermoni lasciati in mano al racket delle occupazioni abusive e ai predicatori dell'odio islamico.

L'autonomia Milano l'ha già ottenuta da tempo e il suo sindaco che politicamente pesa più di molti ministri non ha certo bisogno di fare anticamera per parlare con il premier e ottenere quanto richiesto per una città che ha già quasi tutto. E allora si capisce perché un sindaco come Gori alla sua Bergamo ha chiesto di votare Sì, come Sì abbiano votato gli abitanti di Selvino, mentre Sala non abbia fatto nemmeno la fatica di andare al seggio. Lo stesso Sala che quando ha dovuto mettere in piedi l'Expo l'autonomia e i fondi li ha chiesti per sé, pretendendo da Roma i poteri speciali del commissario senza i quali i cancelli non si sarebbero mai aperti in tempo. Così come il sindaco Gabriele Albertini chiese e ottenne di diventare commissario straordinario al Traffico e al Sistema di depurazione delle acque per riuscire a costruire i depuratori di Nosedo e Ronchetto delle Rane che Milano non riusciva a costruire da decenni e avviare i progetti delle metropolitane 4 e 5 che oggi entusiasmano gli stessi elettori della sinistra che si rifiutano di votare l'autonomia.

Intorpiditi dal benessere della pancia piena, ma pronti a citare Steve Jobs, il cofondatore di Apple con il suo «stay hungry, stay foolish», restate affamati, restate folli. Ma domenica affamati e folli sono stati solo quelli che sono andati a votare sognando un Paese (un intero Paese) migliore, non chi è rimasto a casa roso dall'invidia.

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