"Con mio zio ministro sfuggito alla bomba messa dai talebani"

Parla il nipote del responsabile della Difesa scampato alla battaglia: 8 morti e 20 feriti

"Con mio zio ministro sfuggito alla bomba messa dai talebani"

«Mia madre è andata a trovare suo fratello, il ministro della Difesa, e l'ho accompagnata con la famiglia. Ad un tratto è esplosa l'auto bomba, che ha fatto crollare una parte del muro di cinta. Poi è scoppiata la battaglia» racconta al Giornale Z. un afghano, che vive in Italia, testimone diretto dell'attacco talebano. L'obiettivo, martedì sera, è la residenza a Kabul del responsabile della Difesa, Bismillah Khan Mohammadi. «Per fortuna lo zio era uscito da soli cinque minuti per una chiamata urgente quando l'esplosione fortissima ha fatto tremare tutto» racconta il nipote. «I talebani hanno cercato di entrare in casa, ma assieme alle guardie del corpo siamo riusciti a respingerli. Si sono asserragliati in un edificio di fronte e sparavano all'impazzata lanciando bombe a mano» racconta Z. Dopo mezz'ora sono intervenuti i corpi speciali della polizia e dell'esercito, ma la battaglia è andata avanti dalle 19 a mezzanotte. Alla fine i quattro aggressori sono stati eliminati. Nell'attacco sono morte 8 persone, compresa una guardia del corpo del ministro (20 i feriti alcuni gravi). «I terroristi avevano i giubbotti esplosivi. Ne ho visto uno sul corpo senza vita di un talebano» spiega il testimone.

L'attacco è stato rivendicato dal portavoce degli integralisti, Zabihullah Mujahid: «È l'inizio di una serie di operazioni di rappresaglia contro figure chiave dell'amministrazione di Kabul».

Il ministro della Difesa aveva inviato rinforzi a Lashkar Gah, capoluogo provinciale del sud che rischia di cadere, ordinando il contrattacco. La situazione è drammatica e nella città semi conquistata dai talebani c'è anche la volontaria italiana Leila Borsa all'ospedale di Emergency.

Save the children ha denunciato la morte di 18 civili, comprese donne e bambini nei raid aerei attorno a Kandahar, «capitale» del sud, anche sotto attacco. I talebani si circondano spesso di bambini come scudi umani. Ieri mattina è stata uccisa dagli estremisti una funzionaria governativa che lavorava per i diritti delle donne. Nascosta sotto un burqa cercava di raggiungere Herat dalla provincia di Baghdis quando l'hanno fermata lungo la strada. La foto dell'esecuzione mostra la giovane donna a terra, insanguinata e con una profonda ferita al collo. Nelle stesse ore i grillini impegnavano con una risoluzione il governo a «garantire l'effettiva promozione dei diritti umani e in particolare delle donne in Afghanistan». La buona notizia è che l'ambasciata italiana a Kabul ha contattato il portavoce dei nostri ex interpreti tagliati fuori dall'evacuazione nella zona di Herat. Il Giornale si è battuto fin dall'inizio per non lasciare indietro nessuno dei collaboratori afghani in 20 anni di missione. L'ex ministro della Difesa, Elisabetta Trenta, ha lanciato una petizione «per portarli in salvo». E la Lega si è mobilitata con Roberto Paolo Ferrari, capogruppo in commissione Difesa alla Camera. «Interpreti, collaboratori afghani e i loro familiari sono in grave pericolo di vita. La Lega è al loro fianco e chiede urgentemente al governo di metterli in sicurezza» ha dichiarato Ferrari presentando un'interrogazione. In tanti sono rimasti fuori dall'operazione Aquila, che ha già portato in Italia 228 afghani comprese le famiglie.

Delle procedure, troppo lente per evacuarli, «si dovrebbe occupare il ministro dell'Interno - si legge nell'interrogazione - ma la sua inerzia su questa emergenza è pari a quella sul contrasto agli sbarchi di migliaia di clandestini nel nostro Paese che non stanno scappando da nessuna guerra».

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