All'opera più enigmatica della storia dell'arte mancava solo un passaggio: diventare lo strumento di una gigantesca operazione di marketing culturale, la più grande probabilmente mai vista. Il Salvator Mundi di Leonardo da Vinci, che in pochissimi hanno avuto la fortuna di ammirare, sarà esposto a partire dal 2024 in un museo appositamente costruito dall'Arabia Saudita nella città di Al Ula. Il controverso principe ereditario della corona di Riad, Mohammed Bin Salman, conta in questo modo di collocare l'Arabia Saudita sulla mappa delle grandi destinazioni artistiche mondiali e di ammantarsi di cultura e modernità. Ancora una volta i petrodollari serviranno a comprare la storia, la cultura, le tradizioni occidentali. È successo già spesso con lo sport, ora accade con l'arte, con la beffa ulteriore dell'immagine più potente della cristianità, il redentore, esibita come un anello vistoso al dito del Paese cuore dell'islamismo più oltranzista. E pazienza se l'attribuzione dell'opera al grande maestro di Vinci è tuttora oggetto di discussione: con i milioni sborsati a pacchi, anzi a barili, si oblitererà anche quella.
La storia del Salvator Mundi è romanzesca e in parte ancora da scrivere. Apparsa e scomparsa molte volte nel corso dei secoli, avvistata dapprima in un convento di Nantes, poi alla corte londinese di Carlo I, con molte copie a confondere le tracce del capolavoro, peraltro profanato da numerose ridipinture che avevano in parte coperto la versione originale, dotando il Salvatore di una barba fin troppo folta e di uno sguardo francamente un po' ebete, è solo negli ultimi anni che l'attribuzione leonardesca si è fatto strada, non condivisa da molti storici dell'arte. Nel 2019 l'opera sarebbe dovuta essere esposta al Louvre di Parigi nell'ambito di una mostra su Leonardo, ma le analisi condotte dal laboratorio tecnico del museo francese evidenziarono che il maestro di Vinci avrebbe dato solo un piccolo contributo alla fattura del quadro.
Ma in fondo questo conta fino a un certo punto. L'opera è già un'icona, non fosse altro perché un emissario di Bin Salman, Badr bin Abdullah, la acquistò in un'asta da Christie's a New York il 15 novembre 2017 per 450.312.500 dollari (400 milioni più i diritti d'asta) stabilendo un record che non sarà battuto né presto né facilmente e facendo «sparire» il quadro per anni. Chi avrà il coraggio dopo questo atto di forza di sostenere che Leonardo non c'entra nulla?
Una figura chiave nella vicenda di questo olio su tavola (65,6×45,4 cm) databile tra il 1505 e il 1515 circa che rappresenta il Cristo con la mano destra a benedire e quella sinistra a tenere un globo trasparente, è lo storico d'arte britannico Martin Kemp, professore emerito dell'università di Oxford. Fu lui nel 2010, quando l'opera fu sottoposta all'attenzione della National Gallery di Londra, a controfirmare l'attribuzione leonardesca assieme ad altri tre colleghi incaricati dal direttore del museo Nicholas Penny, che la espose in una grande mostra monografica su Leonardo a partire dal 9 novembre 2011 .
Ed è lui, Kemp, a essere stato ora convocato dal governo saudita per dare credibilità all'operazione, lavorando in collaborazione con la connazionale Iwona Blazwick, che nel suo ruolo di consulente artistica del governo di Riad ha caldeggiato la costruzione vicino ad Al Ula del Wadi AlFann, un mastodontico centro culturale che sembra destinato a ospitare il Salvator Mundi. Che tornerà finalmente, dopo molti anni, allo sguardo del mondo. O meglio, di quella parte del mondo che potrà andare fino in Arabia Saudita a sbirciarlo.
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