La vittoria a mani basse del centrodestra in Lombardia, pur in un quadro di scarsa partecipazione al voto, può essere letta in vari modi. Una maniera certamente legittima di trarre un'utile lezione dalle urne è quella che ci porta a constatare che l'area più dinamica della Penisola è anche quella più lontana dalla sinistra dirigista e dall'assistenzialismo grillino: perché è chiaro che il lombardo medio vorrebbe una valorizzazione del settore privato e un ridimensionamento di quello pubblico.
Già Carlo Cattaneo, in pagine memorabili, aveva evidenziato il carattere industrioso delle province lombarde e lo stesso Alessandro Manzoni, nella conclusione dei Promessi Sposi, ci dice come Renzo abbia poi costruito la sua esistenza quale imprenditore. A Como e a Bergamo, a Lecco e a Milano, il «fare impresa» è sempre stato apprezzato. Da tempo, insomma, esiste un «modello lombardo» che valorizza l'impresa e la concorrenza, e che contribuisce a rendere ricca e civile questa popolazione.
Non è un caso che proprio in tale regione ci sia una sanità basata sull'equiparazione tra pubblico e privato, la quale permette a chiunque di trarre beneficio dalla qualità degli ospedali gestiti da società private. Anche se durante la pandemia le speculazioni di parte non hanno risparmiato neppure la sanità del Pirellone, le costanti migrazioni dei malati che lasciano il loro territorio per farsi curare in Lombardia è la prova provata di un modello perfettibile, ma certo migliore di quelli che non lasciano spazio alla libera scelta.
Il governo attuale dovrebbe capire, allora, che c'è un esempio lombardo che deve essere esportato e che l'Italia nel suo insieme può solo trarre un beneficio dalla riproposizione di alcune delle scelte azzeccate in quella che è e rimane la regione più popolosa, dinamica e industriosa. Come sottolineava Gianfranco Miglio, storicamente la Lombardia è stata spesso un gigante economico e un nano politico. Nonostante una parte significativa della storia politica italiana abbia preso le mosse da Milano, gli interessi diffusi dei lombardi raramente sanno convergere in un progetto vincente, tale da fargli conseguire gli obiettivi più cruciali. In questo senso, è significativo che fin dagli anni Ottanta si parli di autonomia e autogoverno in Lombardia e che ben poco, in realtà, si sia davvero ottenuto.
L'ingenuità politica dei lombardi, però, non deve essere un alibi per non fare nulla, dato che il successo lombardo può essere replicato altrove proprio grazie all'avvio di un processo che aumenti la capacità di autogoverno di ogni regione.
Proprio alla luce di tale risultato, allora, sarebbe cruciale che s'iniziasse a dare ai lombardi (e anche ai veneti, che con ancor più determinazione hanno chiesto il diritto di autogovernarsi) quel diritto a gestirsi da sé almeno in alcuni ambiti cruciali che più di cinque anni fa hanno chiesto maggiore libertà votando il referendum sull'autonomia.
È chiaro che il quadro costituzionale è quello che è, ed è pure evidente a tutti che l'autonomia in gioco è davvero poca cosa (dato che non riguarda minimamente la materia fiscale), ma sarebbe opportuno imboccare la strada di una maggiore responsabilizzazione di ogni territorio.
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