Caro direttore,
essere o non essere? Cantare o non cantare? Meglio che un Presidente vada al Festival di Sanremo, per sentire lo strapagato Benigni fare un comizio, o portare Sanremo al Presidente, nell'aula del Senato, con Morandi che ripercorre, senza alcun compenso, i suoi celebri brani? Ma Vittorio Sgarbi ha cambiato «linea». Redarguito perché nelle cerimonie, collocato nelle postazioni riservate ai membri del governo, si occupa di altro, incurante dell'Inno nazionale o dei discorsi delle autorità. Vittorio, che alterna serate di cultura in cui spiega, con maestria unica, i protagonisti dell'arte italiana, a serate in cui definisce «capre» i suoi interlocutori, ora è diventato un «arbiter elegantiarum» e ha avuto da ridire, con un argomentato articolo, sul fatto che alle celebrazioni dei 75 anni del Senato il Presidente La Russa abbia voluto far partecipare Morandi, che ha perfino, ohibò, cantato canzoni, invece di fare un comizio, come altri attori e cantanti fanno. C'è da dire che, prima di Morandi, hanno spiegato egregiamente il senso della cerimonia Stefano Folli, Ernesto Galli Della Loggia, Giuseppe Parlato e Anna Finocchiaro, riproponendo pagine di storia istituzionale.
Poi è arrivato Morandi. Che prima ha cantato, con passione e intensità, l'Inno d'Italia, poi ha ripercorso la storia italiana del dopoguerra con alcune sue canzoni e con un omaggio a Lucio Dalla. A Sgarbi tutto ciò è sembrato non conforme all'aula del Senato. Detta da lui questa cosa mi ha sorpreso. Perché lo conosciamo non solo come intellettuale, ma anche come uomo capace di rompere tabù e regole del cerimoniale. La musica fa parte della cultura italiana. Si chiama cultura popolare, come ci ha insegnato più volte Mogol, anche lui, tempo fa, accolto nell'aula del Senato.
La Russa ha fatto una scelta innovativa, ma non lontana da un sentimento diffuso tra tanti cittadini. Ieri ci sono stati importanti interventi e una «finestra» nazionalpopolare, che ha suscitato l'entusiasmo dei presenti, tra cui importantissime cariche dello Stato. Non credo che qualcuno si sia risentito, a parte Vittorio. Che forse avendo seguito le cerimonie dell'incoronazione di Re Carlo III, immagina riti analoghi anche da noi. In cui a lui spetterebbe il ruolo del Re e a noi quello di sudditi. Sgarbi diventa custode rigoroso del cerimoniale di Stato, che vuole austero come 100 anni fa. Peggio per noi che abbiamo condiviso la scelta del presidente La Russa, che rispetta le istituzioni (ha voluto il giorno prima le bande militari in piazza Navona), ma vive la realtà italiana in tutte le sue dimensioni. E stia certo, Vittorio, che i cittadini conoscono i versi di Carducci e Manzoni ma amano anche i testi di Mogol e Morandi.
Ed anche questi fanno parte, piaccia o meno a lui, della cultura popolare italiana, in cui ciascuno deve stare al suo posto, ma in cui un po' di musica italiana nell'aula di Palazzo Madama non sta fuori posto.*vicepresidente del Senato
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