Morto il Berlinguer più a sinistra di Enrico

Morto il Berlinguer più a sinistra di Enrico

RomaUno dei paradossi della sua vita è come fosse toccato proprio a lui, massimo conoscitore in natura dell'estremamente piccolo, di assistere con pena alla riduzione lillipuziana della famiglia politica di provenienza, quella del Pci, vivisezionata dai successori del più noto fratello Enrico.

Così Giovanni Berlinguer, che ci ha lasciato allo scadere dei 90 anni l'altra notte, aveva visto e vissuto il decadimento verso il Pds, diventato già Ds quando nell'agosto 2001, a 77 anni, s'era prestato per la prima e unica volta della sua carriera a un'operazione di vertice: candidato a sorpresa del cosiddetto Correntone , in attesa di Cofferati, per sbarrare la strada all'uomo scelto da D'Alema (Fassino). Altro paradosso: molti dei raffazzonati amici dell'ultim'ora (veltroniani per lo più) non solo non erano alla sua altezza, ma neppure conoscevano bene l'ultimo dei comunisti d'antan. Discendente di marchese socialista e di Gran capo di Loggia massonica sassarese, uomo di sinistra assai più del fratello Enrico. Pur essendo stato parlamentare (poi pure eurodeputato), membro del Comitato centrale, Giovanni non condivise molte scelte del Berlinguer maggiore. Una su tutte, il compromesso storico: «L'errore fu di credere che le minacce più gravi per la democrazia provenissero da forze esterne al sistema politico. E di ricercare una collaborazione con i partiti responsabili del degrado delle istituzioni».

Coerente fino alla fine con la lucidità e il rigore dello scienziato, curioso di ciò che si muoveva nel mondo, autore di oltre duecento tra pubblicazioni e libri, presidente del Comitato di Bioetica (oltre che di tante importanti Commissioni internazionali), Giovanni era tutt'altro che un estremista. Mite e riservato, dell'arguzia propria degli intellettuali, diceva con modestia di essersi dedicato a «quelli che nella filosofia marxista si chiamano problemi sovrastrutturali... Scienza, scuola, ambiente, tecnologie sono i miei campi». D'altronde, che avrebbe potuto fare, con una famiglia del genere, «stare tappato in casa?», sorrideva di sé davanti alla sua gigantesca biblioteca di scaffali bianchi. Dal nonno Enrico al padre Mario, al fratello, tutta gente che masticava pane e politica. Fino ai cugini Luigi, da ultimo contestatissimo ministro dell'Istruzione, e Sergio, diplomatico e ministro degli Italiani nel mondo nel primo governo Berlusconi, dopo essere stato segretario generale del Quirinale quando il presidente era l'altro cugino, Francesco Cossiga. Per questo, Giovanni alla politica aveva affiancato una sua strada, diventando medico. E, nei Sessanta, «colto da intenso prurito (intellettuale) per le pulci» a dedicarsi al loro studio, fino a intrecciarlo con la propria autobiografia in un divertentissimo volume ormai introvabile ( Le mie pulci , ed. Einaudi). Entomologo di fama, seppe raccontare vita, costumi e influenza di questi misconosciuti parassiti portatori di peste nella vicenda umana, fino a poter affermare che esse «avessero deciso la sorte di molte più battaglie che Cesare, Annibale e Napoleone».

Quando apprese dal direttore dell'omonima Fondazione che era stato il famoso banchiere Rothschild a scoprire tante specie di pulci, disse che gli sembrava di intuirne la ragione, ravvisandola nell'«affinità tra insetti ematofogi e banchieri».

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