Gli ultimi difensori di Mariupol continuano a uscire dagli inferi dell'acciaieria Azovstal senza armi. Secondo il ministro della Difesa russo hanno già scelto la resa in 1.730 da lunedì, 771 nelle ultime 24 ore. E per i russi si sarebbe consegnato anche il primo prigioniero eccellente, il vicecomandante del reggimento Azov, Svyatoslav Palamar, nome di battaglia Kalina. A sera arriva la smentita di Kiev con un video dalla voce del numero due degli Azov dai sotterranei dell'acciaieria. «Oggi è l'85° giorno di guerra. Io e il mio comando siamo sul territorio dello stabilimento Azovstal. È in corso un'operazione, i cui dettagli non annuncerò. Grazie al mondo, grazie all'Ucraina. Ci vediamo». Ormai dovrebbero essere rimasti nei rifugi sotterranei meno di 300 uomini, compresi i comandanti di Azov e dei marines. Il maggiore Bohdan Krotevych, capo dello staff del reggimento, su Instagram fa appello alla resistenza: «La guerra non è finita, la guerra su vasta scala è appena cominciata. Dovrete diventare comandanti e assumere il controllo o scappare e poi soffrire perdite ancora più grandi. La Russia, come gli Usa, è abituata a combattere contro Paesi molto più deboli, e ogni problema veniva risolto con massicci bombardamenti d'artiglieria o raid aerei. Noi siamo più deboli nel potenziale militare, ma la fiducia in sé del nemico è la nostra carta vincente».
Mosca garantisce che i feriti stanno ricevendo assistenza negli ospedali di Novoazovsk e Donetsk, città occupate dai filorussi. Gli altri prigionieri sarebbero stati portati in un centro di detenzione a Olenivka, teoricamente in attesa di uno scambio con soldati russi catturati dagli ucraini. In un comunicato ha confermato che «sta registrando l'identità dei soldati che lasciano l'Azovstal, inclusi i feriti, come richiesto». Però «non segue il trasferimento dei prigionieri di guerra nei punti in cui sono trattenuti» ovvero non è in grado di garantire che siano trattati con umanità. I soldati compilano una scheda con nome, data di nascita e parenti prossimi in modo che la Croce rossa possa tenere traccia delle persone catturate e aiutarle a mantenere i contatti con le famiglie. L'istituzione umanitaria ricorda che «secondo la Convenzione di Ginevra, deve avere accesso immediato ai prigionieri di guerra in tutti i luoghi in cui sono detenuti». I suoi delegati hanno il compito di intervistare i militari catturati da soli, senza alcuna coercizione, per tutto il tempo necessario con l'obiettivo di capire come vengono realmente trattati dai carcerieri.
Svyatoslav Yaroslavovych Palamar, classe 1982, originario della regione di Leopoli, culla del nazionalismo ucraino, aveva aderito da giovane, 22 anni fa, al partito Patrioti dell'Ucraina di estrema destra. Uno dei leader era Andriy Biletsky, che i russi elencano nella lista dei nemici giurati, come fondatore, tempo dopo, del battaglione Azov. Kalina, nome di battaglia del capitano, ha partecipato alle rivoluzioni arancioni in Ucraina e dal 2014, nonostante la sua formazione universitaria in campo economico, si è arruolato per combattere nella guerra del Donbass. Durante le battaglie si è distinto per coraggio, dimostrato anche a Mariupol, venendo insignito di alte decorazioni per il suo valore. In una recente intervista ha negato che gli uomini di Azov siano ancora legati a simboli e tatuaggi nazisti sostenendo che il reggimento di volontari è diventato «un'unità militare» vera e propria.
Ieri, il premier britannico Boris Johnson ha avuto un nuovo colloquio con il presidente ucraino Volodymyr Zelensky. Ha evocato la «scintillante ammirazione per i difensori di Mariupol», che si sono consegnati ai russi dopo l'assedio dell'ultima ridotta nell'acciaieria. E ha sottolineato il monito di Londra a Mosca a trattare «con dignità e rispetto i prigionieri di guerra». Ancora asserragliati sottoterra rimangono i volti noti della resistenza come Denis Prokopenko, comandante del reggimento Azov e il suo capo dell'intelligence Ilya Samoilenko, detto Cyborg per il braccio in titanio e l'occhio di vetro eredità di passate battaglie.
Oltre al maggiore-padre di famiglia, Serhiy Volyna, comandante dei marines della 36esima brigata. L'operazione Azovstal, rimane imprevedibile fino a quando non avranno ceduto le armi tutti i combattenti, ma lo stesso comando ucraino crede che «russi manterranno la parola» sul rispetto dei prigionieri di guerra.
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