Le motivazioni dei giudici: "Berlusconi non sapeva della minore età di Ruby"

Smontato il teorema delle toghe. I giudici spiegano perché hanno assolto con formula piena l'ex premier: "Non sapeva della minore età di Ruby"

Le motivazioni dei giudici: "Berlusconi non sapeva della minore età di Ruby"

Non c'è nessuna prova che Silvio Berlusconi avesse minacciato i vertici della questura di Milano, la notte del 27 maggio 2010, per costringerli a rilasciare Kharima el Mahroug alias Ruby Rubacuori. Lo scrivono nelle motivazioni della sentenza d'appello, depositate questa mattina, i giudici che il 17 luglio scorso hanno assolto con formula piena Berlusconi, annullando la condanna a sette anni di carcere inflitta in primo grado. Secondo i giudici di secondo grado, la sentenza che aveva condannato il Cavaliere "non spiega in cosa sia consistita la minaccia - esplicita o implicita che avrebbe provocato timore nel dottor Ostuni (il capo di gabinetto della questura di Milano che ricevette la telefonata dell'allora presidente del Consiglio, ndr) - e non si confronta con le risultanze probatorie che ne contraddicono la sussistenza: tra le quali in primis le dichiarazioni della presunta vittima, che non ha mai detto o lasciato intendere di essere stato minacciato o pressato, né di essersi sentito destinatario di una pressione irresistibile". E ancora: "Le modalità di intervento del presidente del Consiglio e il contenuto del dialogo tra Berlusconi e Ostuni - pur rivelando un chiaro e preciso interesse del presidente del Consiglio alle sorti della giovane extracomunitaria portata in questura e al suo affidamento al "consigliere parlamentare" Minetti - non esprimono né implicitamente tradiscono alcun contenuto minatorio".

Per i giudici d'appello, Berlusconi intervenne sulla questura perché "con la fuoriuscita della giovane dall'area di controllo delle autorità minorili vedeva diminuire il rischio che la stessa rivelasse i retroscena compromettenti della loro frequentazione": ma questo intervento "indebito" non avvenne attraverso alcuna forma di minaccia o costrizione, e quindi il reato non sussiste.

Sgombrato il campo dal primo e più pesante capo d'accusa, i giudici d'appello passano ad affrontare l'accusa di utilizzo della prostituzione minorile, relativa ai contatti ravvicinati tra Berlusconi e Ruby. Qui i giudici d'appello condividono la opinione del tribunale che ci sia "prova certa" dei rapporti a carattere sessuale e a pagamento tra il leader di Forza Italia e la ragazza, ma escludono che Berlusconi sapesse che la ragazza non aveva ancora compiuto i diciott'anni: "Con limitato riferimento a tale ultimo aspetto i motivi d'appello sono fondati e meritano accoglimento". Sulle serate di Arcore anche la sentenza d'appello è severa: "È stato accertato aldilà di ogni ragionevole dubbio che durante alcune serate organizzate in compagnia delle più disinibite ragazze che erano salite frequentare Arcore e trarne utilità economiche, attività di prostituzione fu effettivamente svolta e con modalità significativamente ricorrenti". "Si trattava di un sistema in cui l'aspetto fisico, la disponibilità delle donne a esibire i propri attributi femminili, inscenare esibizioni seduttive e erotizzanti provocare e consentire eventuali toccamenti erano credenziali apprezzate"; gli "atti sessuali erano chiaramente volti a stimolare la libidine sessuale del padrone di casa e dei suoi eventuali ospiti maschili​". Anche Ruby avrebbe fatto parte del sistema, anche se lo ha sempre negato a causa della "intuibile ritrosia a ammettere pubblicamente il poco commendevole mercimonio del proprio corpo".

​A dimostrare che tra il premier e la ragazza vi furono rapporti hot è secondo i giudici d'appello sia il passato di Ruby, che aveva già svolto attività di meretricio, sia il brusco innalzamento del tenore di vita della ragazza in contemporanea con le visite ad Arcore. La sentenza parla di "perfetta compatibilità tra il tipo di spettacoli e interazioni a sfondo sessuale che si svolgevano nel cosiddetto "bunga bunga" di Arcore e i costumi disinibiti e le attitudini esibizionistiche d Kharima el Mahroug, ragazza pienamente consapevole delle proprie doti fisiche e capace di sfruttarle con ben studiato opportunismo".

Fin qua, su questo capo d'accusa, i giudici d'appello sposano la interpretazione dei colleghi che hanno condannato Berlusconi, ma se ne distaccano su un elemento cruciale: la consapevolezza della minore età, senza il quale (per la legge dell'epoca) l'"utente" non commette reato.​

​P​er i giudici d'appello "la conoscenza della minore età della persona offesa da parte di Silvio Berlusconi all'epoca dei fatti è circostanza non assistita da adeguato supporto probatorio": su questo punto la Corte ritiene "pienamente condivisibili" le argomentazioni dei difensori dell'imputato. Tranne le inaffidabili e contraddittorie intercettazioni di Ruby, "nessun altro indizio è emerso della effettiva conoscenza di Berlusconi della minore età di Kharima el Mahroug.

La minore aveva un aspetto fisico e comportamenti che non tradivano minimamente la sua minore età". E la convinzione dei primi giudici che fosse stato Emilio Fede a rivelare a Berlusconi che la ragazza era minorenne viene definita dalla Corte d'appello "una congettura non riscontrata".

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