La Commissione europea non si metterà di traverso all'operazione Montepaschi-Mediobanca. Da Bruxelles, quindi, luce verde a quella che, per le condizioni in cui navigava Mps ancora due anni fa, sarebbe sembrata una mossa buona per un racconto di fantafinanza. Oggi invece è realtà e incassa perfino l'ok senza obiezioni della DgComp. «Dal punto di vista del controllo delle concentrazioni, l'offerta di Mps di acquisire Mediobanca non è stata notificata alla Commissione - ha spiegato una portavoce all'agenzia Adnkronos - Come sempre, spetta alle parti valutare se un'operazione debba essere notificata ai sensi delle norme Ue sulle concentrazioni». E ancora: «A seguito della cessione della maggior parte della partecipazione pubblica in Mps, che ha portato alla perdita del controllo sulla banca, l'istituto senese non è più vincolato al suo impegno ai sensi della decisione sugli aiuti di Stato di astenersi dalle acquisizioni e ciò le consente di intraprendere le azioni aziendali che più ritiene appropriate per perseguire i propri interessi commerciali». Non bastasse, sul fronte della politica interna dopo le titubanze iniziali, anche il Partito democratico si è esposto con convinzione a favore del matrimonio Mps-Mediobanca. «La formazione di un terzo polo bancario nazionale con una operazione di mercato che parta da Siena e con un forte radicamento proprio in questi territori sarebbe una buona notizia per tutto il paese, per uno sviluppo economico più sano ed equilibrato», ha affermato il sindaco di Roma ed ex ministro dell'Economia, Roberto Gualtieri.
Colpito e affondato Antonio Misiani, suo compagno di partito che copre l'incarico di responsabile economia del Pd, che nei giorni scorsi aveva strumentalmente accusato il governo di non ricoprire il ruolo di arbitro e, anzi, di essere «parte attiva di una concentrazione di potere finanziario mai vista nella storia di questo Paese». Gualtieri, invece, ha sottolineato il percorso di risanamento completato da Siena, complimentandosi con il ceo Luigi Lovaglio, con il management e con il Mef (che sotto la guida di Giancarlo Giorgetti ha varato un aumento di capitale da 2,5 miliardi di grande successo).
Gualtieri ha peraltro ricordato che «l'ipotesi di una aggregazione tra Mps e Mediobanca non nasce ora, ma è sul tavolo almeno dal 2021-2022». Confermando quanto ha già spiegato Lovaglio, del progetto si era dunque parlato fin dai tempi di Mario Draghi, il che significa che già allora si apprezzava il potenziale di un'operazione che evidentemente veniva considerata tuttaltro che campata in aria. Si trattava di un contesto diverso dall'odierno, con una Mps che era vista come preda e non come predatore. Allora Mediobanca non affondò il colpo, ma col senno di poi si può dire avrebbe fatto bene ad agire.
Del resto, di là della reazione emotiva di venerdì, già ieri la Borsa ha dato segni di una volontà di valutare con maggiore ponderazione l'ipotesi di aggregazione con Mps alla guida. Come leggere infatti il balzo delle Generali (+1,9% a 30,2 euro) a fronte di un assestamento dei due titoli protagonisti del'Ops? Probabilmente tra gli operatori c'è chi si prepara allo scontro da posizioni più consolidate che si avrà a maggio quando si tratterà di rinnovare il cda di Trieste. Se è vero che la banca senese ha accusato un nuovo arretramento (-2%), va detto che dispone di solide frecce per stringere più efficacemente d'assedio Piazzetta Cuccia: dall'aumento di capitale ipotizzato, agli oltre 2 miliardi di risorse in eccesso che può riversare in un eventuale rilancio dell'offerta.
Come risponderà Mediobanca? Oggi affronterà la prima tappa della sua strategia difensiva, a valle del consiglio d'amministrazione che valuterà come «ostile» l'offerta di Rocca Salimbeni. Alberto Nagel, il ceo, è un banchiere di lungo corso e con alle spalle il blasone di cui si fregia l'istituto probabilmente muoverà i fili della grande finanza internazionale cercando di portare dalla sua parte quanti più investitori istituzionali cui fa capo una parte non marginale del 61% del capitale flottante. Ma a fronte del patto di sindacato che controlla l'11,4% delle quote oggi si trova a dover confrontarsi con Delfin (19,81%) e Francesco Gaetano Caltagirone (7,76%) entrambi favorevole alle nozze con Mps. Difficile prevedere oggi quanta parte di quel 61% si convertirà al progetto senese, l'obiettivo del 51% non pare però impossibile se lo scopo è quello di nominare un nuovo cda che non abbia in odio il progetto di Lovaglio.
Si tratterà quindi di giocare bene sul fronte della comunicazione e del convincimento degli azionisti, fermo restando che già ora l'entrata in vigore della passivity rule limita di molto il margine di manovra di Mediobanca che dovrà fare i conti anche con una volontà politica forte e trasversale.
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