Accusato di frode e potenzialmente impossibilitato in futuro a guidare una società quotata come Tesla. È quanto è appena piombato addosso all'ad della casa produttrice di auto elettriche, Elon Musk, a causa del tweet del 7 agosto in cui comunicava la volontà di privatizzare l'azienda, rilevandola a 420 dollari per azione, e spiegava che i fondi per farlo erano «garantiti» grazie ai sauditi. E pensare che quel «cinguettio» - come avrebbe spiegato più tardi - l'aveva digitato in leggerezza, senza avvisare nessuno e mentre era «in macchina di ritorno dall'aeroporto». La Sec, Security Exchange Commission, non si è lasciata convincere: secondo l'ente statunitense preposto alla vigilanza della Borsa le dichiarazioni dell'eclettico inventore, che hanno fatto immediatamente schizzare il titolo a +11% portandolo a sfiorare i 380 dollari, sono state «false e fuorvianti», perché basate su un nulla di fatto, e costituirebbero una «frode» ai danni degli investitori.
«Nella verità dei fatti - sostiene la Sec - Musk non aveva nemmeno discusso, e men che meno confermato, i termini chiave della transazione con alcuna fonte potenziale di fondi». E l'equivalente americano della nostra Consob è andato oltre, chiedendo che, dopo questo episodio, all'imprenditore sia impedito di servire come top manager o come membro del consiglio di amministrazione di un'azienda quotata. La reazione del titolo di Tesla alle accuse è stata immediata: -12% a Wall Street. Il diretto interessato ha replicando parlando di «un'azione ingiustificata che mi rattrista profondamente e mi delude», sostenendo di avere «sempre agito nel migliore interesse della verità, della trasparenza e degli investitori» perché «l'integrità è il valore più importante della mia vita e i fatti dimostreranno che non l'ho mai compromesso in alcun modo».
Solo numeri e fredde strategie finanziarie, dunque? Niente affatto: riguardando Musk, la vicenda non può non mancare di risvolti di colore. Secondo l'ente di vigilanza la scelta del prezzo delle azioni (420 dollari) non è casuale: il numero è infatti un rimando cannabis - quella stessa sostanza da lui fumata a settembre durante una discussa intervista - e la Sec crede che l'imprenditore l'abbia scelto proprio per questo.
«Sosteniamo che Musk sia arrivato a quel numero, equivalente a un premio del 20% rispetto al valore di allora del titolo, arrotondandolo a 420 dollari per via del significato che quella cifra ha nella cultura della marijuana», ha detto in conferenza stampa Steven Peiki della Sec.
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