"A Natale facciamo saltare San Pietro"

Le telefonate del somalo arrestato a Bari. Il Viminale: controlli in stazioni e aeroporti

"A Natale facciamo saltare San Pietro"

Bari «Mettiamo bombe a tutte le chiese d'Italia. La chiesa più grande dove sta? Sta a Roma». Mohsin Omar Ibrahim, noto come Anas Kalil, non usava mezzi termini e parlava esplicitamente dei suoi progetti di morte. Lui, cittadino somalo di 20 anni regolarmente residente a Bari nonostante avesse aggredito un passante a bottigliate dopo aver ascoltato un canto jihadista, è stato sottoposto a fermo dalla polizia giovedì scorso ma l'inchiesta è tutt'altro che conclusa. E con la convalida del provvedimento da parte del gip, affiorano dettagli sempre più allarmanti su un'indagine che conferma la minaccia del terrorismo islamico in Italia. L'extracomunitario è infatti considerato un affiliato dell'Isis: puntava a colpire la basilica di San Pietro e voleva farlo nel giorno di Natale. «Il 25 dicembre è ravvicinato», diceva; e poi ancora: «Il 25 è Natale dei cristianile chiese sono piene».

L'inchiesta coordinata dalla Direzione distrettuale antimafia di Bari è di respiro internazionale. Alle indagini hanno collaborato i servizi di intelligence con il supporto americano dell'Fbi. Ci sono le fotografie del Vaticano trovate nel telefono cellulare di Ibrahim, ma anche le sue parole. Proprio dalle intercettazioni è arrivata la conferma ai sospetti, che ormai si accavallavano su un personaggio inserito nella componente somalo-keniota dell'Isis. «Mamma mia ecco la Chiesa», dice il ventenne mentre con ogni probabilità osserva la fotografia della basilica San Pietro sullo smartphone. «Però non è facile, sai com'è là il 24 e il 25 a Natale, che sta Papa e tanta gente, è pieno pieno pieno», gli risponde l'interlocutore, ma lui aggiunge: «È buono, persone pericolose, è buonissimo». Negli atti dell'inchiesta si legge che il somalo «comincia a ragionare di modalità operative» il primo dicembre mentre il giorno dopo si informa sulla distanza tra Bari e Roma, e sui mezzi di trasporto. Nelle intercettazioni spunta anche la data del 27, anche se non è precisato il mese. Fatto sta che tutto questo ha impresso un'accelerata decisiva nelle indagini: l'extracomunitario è stato bloccato per strada, aveva una valigia e camminava verso la stazione. Gli inquirenti durante l'interrogatorio gli contestato le conversazioni in cui dice di «uccidere e ammazzare i cristiani», ma lui non ha battuto ciglio e ha risposto glaciale: «Se serve alla causa bisogna farlo».

Ibrahim, che sui social usava il nickname «Yusuf» come la scuola coranica estremista a cui farebbe riferimento, è arrivato in Italia nel 2016: prima lo sbarco in Sicilia, poi il trasferimento a Forlì, dove è rimasto alcuni mesi grazie a un permesso di soggiorno per motivi umanitari; quindi si è stabilito in Puglia: ha lavorato nei campi della provincia di Foggia e come operaio in un'impresa di pulizia a Bari. Qui il ventenne frequentava la moschea e ha vissuto diverso tempo nello Sprar del quartiere San Paolo e al Ferrhotel vicino alla stazione, immobile occupato abusivamente dagli immigrati e sgomberato dalla polizia l'11 ottobre. Il 7 gennaio il somalo ha colpito un passante alla testa con una bottiglia e lo ha raccontato lui stesso a un tale «Fra», una persona che stava indottrinando: «Ho sentito un video che hanno detto fate la guerra con questi bastardi dove state in paesi cristiani». Un odio che ha ribadito di recente commentando l'attentato di Strasburgo: «Quello che uccide i cristiani, i nemici di Allah, - dichiara in un'altra conversazione intercettata dagli investigatori - è un nostro fratello. Da dove viene, viene.

Però se uccide i cristiani è nostro fratello».

Per il Viminale, dopo la riunione del Comitato nazionale per l'ordine e la sicurezza pubblica, l'attenzione rimane alta. Sarà rinforzata la vigilanza a stazioni, aeroporti e luoghi di culto.

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