«Mamma?!». È la prima e unica parola che Tasha Fuiaba ha pronunciato quand'è rinata per la seconda volta, dopo cinque mesi in mare e almeno sessanta giorni (e notti) alla completa deriva. Un contatto familiare finalmente, anche se attraverso un telefono della marina militare Usa. Eppure Tasha e la sua compagna di viaggio Jennifer Appel avrebbero una lunga storia da raccontare. Il racconto dei racconti, quello di un naufragio che ha echi letterari infiniti da Coleridge a Melville, da Conrad a Defoe.
Tasha e Jennifer, a bordo di una piccola barca a vela, salpano lo scorso maggio dalle Hawaii alla volta di Tahiti. Con loro ci sono anche due inseparabili cani. Davanti hanno circa 2.500 miglia nautiche, non certo un'avventura per principianti. Infatti le due donne non sono veliste «per caso». Ma il primo presagio che non sarebbe stata una traversata di piacere arriva il giorno dopo la partenza, il telefonino che scappa di mano e finisce in fondo al Pacifico. Il 30 maggio avviene il guasto al motore, probabilmente anche l'albero maestro viene danneggiato dal maltempo e le vele non tengono più la rotta. Quindi la scomparsa dai radar e dai satellitari. Di certo la barca, giorno dopo giorno, diventa un punticino disperso nel nulla oceanico. Le donne lanciano richieste di soccorso via radio, però non c'è nessuno ad ascoltarle. Sono troppo lontane dalla costa o da qualsiasi lembo di terra. Nemmeno un'imbarcazione transita nei paraggi per quei lunghi mesi, e questo è uno dei dettagli ancora da chiarire. In balia di vento e correnti, in condizioni atmosferiche e ambientali estreme, il viaggio di Tasha e Jennifer si trasforma in lotta per la sopravvivenza. Ora raccontano alle tv di mezzo mondo che a salvarle è stata la previdenza più che la provvidenza, o meglio la buona abitudine marinara di riempire a dovere la cambusa. Cibi secchi, barrette di cereali, farina d'avena e soprattutto pasta, chili di pasta. Ma in mezzo al mare quello che è essenziale per vivere si trova costantemente sotto gli occhi: acqua. Solo che non si può bere. Perciò le novelle Robinson Crusoe devono tutto a un purificatore di acqua marina. «A un certo punto si era rotto pure quello - rivela Joyce Appel, la madre di Jennifer -. Mia figlia lo ha riparato quando erano rimasti gli ultimi 4 litri potabili...».
L'Odissea 2.0 di Tasha e Jennifer finisce il 24 ottobre. È un peschereccio di Taiwan ad avvistarle a 1.500 km a sud est del Giappone. Anche se a portarle in salvo sono le autorità americane della base di Guam.
Nelle foto scattate dai marinai della «USS Ashland» Tasha e Jennifer alzano le braccia al cielo e sorridono; i cani scodinzolano e indossano i giubbotti di salvataggio giallo fluo. Si scopre che uno di loro si chiama... Zeus. Nella bottiglia non c'è più un sos, ma una sceneggiatura perfetta per Hollywood.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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