Navalny spaventa Putin con l'armata dei 200mila. Il Cremlino contro Biden

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Navalny spaventa Putin con l'armata dei 200mila. Il Cremlino contro Biden

All'indomani della giornata di proteste che si sono tenute in tutta la Russia a sostegno di Aleksei Navalny, il bilancio che se ne può tirare riguarda due ordini di considerazioni. Il primo è numerico, ovvero quanto pesano realmente la partecipazione dei manifestanti e gli arresti effettuati; il secondo è politico: cosa sta riuscendo a ottenere con la sua chiamata alla mobilitazione popolare l'uomo che sfida dal carcere il potere autocratico di Vladimir Putin e cosa rischia in termini di controllo sulla società russa il presidente che quel potere detiene da ormai vent'anni.

Vediamo prima i numeri. L'opposizione che fa riferimento a Navalny spara la cifra di 200mila partecipanti complessivi alle manifestazioni che si sono tenute in circa 120 città sparse sull'immenso territorio della Federazione, dall'Estremo Oriente alla Siberia, dagli Urali fino alla Russia Europea, con Mosca, San Pietroburgo e Nizhny Novgorod (la città di Boris Nemtsov, altro noto oppositore di Putin che morì assassinato sei anni fa) epicentri della protesta. Anche facendo un po' di tara, sono numeri molto importanti: bisogna infatti tener conto che le dimostrazioni non erano autorizzate, che i media ufficiali non ne parlano mai e che la polizia aveva minacciato i manifestanti di percosse e di arresto. Oltre al fatto che il gennaio russo è polare, con temperature che in Siberia scendono a 40 gradi sotto zero: per capirci, in epoca sovietica sotto i 30 perfino nei lager veniva sospeso il lavoro all'aperto per le condizioni proibitive. Se così tanta gente ha affrontato simili rischi, significa che la motivazione è molto forte. Gli arresti, secondo il portale Ovd-Info, sono 3.324, tra cui moltissimi ragazzi, i veri protagonisti delle proteste anti-Putin. Il grosso dei fermi è avvenuto nelle due principali città, dove sono scese nelle strade decine di migliaia di persone (ben più di quante il governo si aspettasse): 1.320 arresti a Mosca, quasi 500 a San Pietroburgo. Non è chiaro quanti siano stati poi rilasciati, come è avvenuto alla moglie di Navalny, Yulia.

Passiamo all'aspetto politico. Il problema è di difficile gestione per il Cremlino, perché Aleksei Navalny non solo non è addomesticabile come i comunisti o gli ultranazionalisti di Zhirinovsky che accettano il ruolo di opposizione ufficiale, ma attacca Putin anche sul piano personale, descrivendolo come un corrotto mandante di omicidi di Stato e promettendo ai russi di abbattere il suo potere. La sua è una sfida totale, che lascia a Putin due alternative: accettare il confronto democratico aperto, il che non è nella natura sua e del sistema che ha costruito, oppure negarlo, screditando il suo avversario e ostacolandolo in ogni modo.

Il presidente russo ha scelto la seconda strada. Senza dimenticare i vari attentati alla sua persona, di cui quello con il novichok dello scorso 20 agosto è solo il più clamoroso, a Navalny viene dunque negato di candidarsi alle elezioni con ogni pretesto, viene perseguitato con le più improbabili accuse da una magistratura asservita al regime, le manifestazioni del suo movimento vengono quasi sempre vietate con conseguente repressione di polizia.

Soprattutto, su input personale di Putin, il nome di Navalny non viene mai fatto dalle autorità, per non fargli pubblicità. Con il suo recente arresto all'aeroporto al suo rientro a Mosca, però, il Cremlino ha commesso un grave errore, che pure nella sua logica era inevitabile come la promessa di repressione delle successive proteste: ha offerto a Navalny un'occasione d'oro per mostrare al mondo intero il seguito di cui gode in Russia. Ieri il portavoce del Cremlino Dmitry Peshkov si è affannato a precisare che i dimostranti erano pochi, che la gran parte dei russi vota per Putin, e non si è reso conto che così facendo mostrava tutta la debolezza di un sistema che non ha il coraggio di affrontare politicamente il suo unico vero avversario.

Per non parlare dell'immancabile accusa a Washington e a Bruxelles di intromissione negli affari interni russi: tutti quei ragazzi che sono scesi in strada ad affrontare i manganelli della polizia a palle di neve, come è successo a Mosca, non li ha mandati Joe Biden né Ursula von der Leyen. Hanno deciso da soli, e non potranno arrestarli tutti.

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