Navi sabotate nel Golfo: l'ombra degli ayatollah sulla crisi in Medioriente

Colpite quattro petroliere ma il bersaglio sono i sauditi. Così l'Iran mette in difficoltà gli Usa

Navi sabotate nel Golfo: l'ombra degli ayatollah sulla crisi in Medioriente

Misteriosi sabotaggi contro quattro petroliere due delle quali saudite al largo dello strategico porto emiratino di Fujairah rischiano di far precipitare verso un conflitto aperto con l'Iran una situazione già molto tesa dopo l'invio nella regione di navi e batterie di missili Patriot da parte degli Stati Uniti. Il segretario di Stato americano Mike Pompeo ha cambiato i suoi programmi per compiere ieri una tappa a Bruxelles prima del suo incontro di oggi a Sochi con il presidente russo Vladimir Putin. La crisi iraniana è certamente il piatto forte di entrambi i colloqui, nessuno dei quali si presenta facile per l'inviato di Donald Trump: i rapporti con gli alleati europei sono a un punto deplorevolmente basso, mentre è nota l'intesa strategica che il Cremlino ha stretto con Teheran.

Per cercare di comprendere quanto sta accadendo conviene partire dagli elementi recenti di cronaca sul terreno. I danneggiamenti arrecati domenica alle petroliere sono stati definiti «seri» dalle autorità degli Emirati Arabi, che non hanno accusato nessuno dei sabotaggi, come del resto l'Arabia Saudita che ha subito i più gravi. Ma è un fatto che Riad è il principale avversario regionale dell'Iran, e che il porto di Fujairah riveste una particolare importanza strategica: è l'unico degli Emirati ad affacciarsi sull'Oceano Indiano e rappresenta l'alternativa per i grandi carichi di greggio al passaggio attraverso lo stretto di Hormuz, che Teheran minaccia ciclicamente di bloccare per chiudere i rubinetti del petrolio del Golfo verso l'Occidente. Logico dunque pensare che ci sia lo zampino iraniano dietro i sabotaggi che nessuno ha rivendicato. Il ministro degli Esteri dell'Iran, Abbas Mousavi, ha chiesto l'apertura di indagini sui fatti di Fujairah, mettendo sibillinamente in guardia contro «l'avventurismo straniero». Meno sibillinamente, il capo del comitato parlamentare sulla sicurezza di Teheran ha parlato di «esplosioni» che dimostrano come «la sicurezza degli Stati del Golfo sia fragile come vetro».

In questa vicenda alcuni elementi sembrano chiari, ma altri meno. E dietro la crisi in corso nel Golfo si evidenziano visioni poco compatibili tra Stati Uniti ed Europa su come regolarsi con Teheran, specchio di più generali rapporti non facili tra alleati. É piuttosto chiaro che, nonostante i dinieghi ufficiali, quanto accaduto a Fujairah serva a dimostrare che l'Iran non solo è in grado di creare problemi agli Stati Uniti e ai suoi amici arabi, ma che non intende piegarsi alle pressioni diplomatiche e militari di Trump. Meno chiaro è invece il contenuto delle presunte minacce alla sicurezza nazionale americana che avrebbero indotto la Casa Bianca a mostrare i muscoli nel Golfo e dintorni. Si vocifera che Pompeo si sia recato a Bruxelles proprio per spiegare agli europei di cosa si stia parlando e per chiedere il loro sostegno alla politica muscolare di Trump verso gli ayatollah.

Peccato che il segretario di Stato Usa abbia trovato in Belgio un clima piuttosto freddo, conseguenza sia del suo recente sgarbo alla cancelliera tedesca Merkel (che ha inopinatamente «bidonato» alla vigilia di un viaggio ufficiale a Berlino da tempo annunciato) sia dell'indisponibilità europea ribadita con toni gelidi ieri da Federica Mogherini a nome dell'Unione a seguire Trump sulla strada dell'addio al compromesso sul nucleare iraniano voluto a suo tempo da

Obama e molto gradito nel Vecchio Continente. Pompeo assicura che Washington non vuole la guerra con Teheran, ma intende forzarla a più miti consigli. Gli europei però, anche in questo caso, non gradiscono il metodo Trump.

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