'Ndrangheta al Pirellone, era tutta una bufala

Il pm ridimensiona le accuse che contribuirono a far cadere Formigoni nel 2012

'Ndrangheta al Pirellone, era tutta una bufala

Milano - Dietrofront. L'inchiesta che sembrava aver sancito la presenza della 'ndrangheta nel mondo politico-istituzionale lombardo si auto-ridimensiona. Lo fa per bocca del pubblico ministero di Milano Giuseppe D'Amico, titolare dell'ampia indagine nell'ambito della quale il 10 ottobre del 2012 fu arrestato l'allora assessore regionale alla Casa in quota Lega Nord Domenico Zambetti. Un terremoto politico-giudiziario. Con accuse pesanti: associazione per delinquere, voto di scambio e concorso esterno in associazione mafiosa. A Zambetti si contesta di aver pagato 200mila euro, favorito alcune assunzioni e spinto appalti, in cambio di 4mila voti a suo favore alle elezioni regionali del 2010. In particolare l'ex assessore si sarebbe messo a disposizione di Eugenio Costantino, presunto boss calabrese della cosca di Oppido Mamertina, in cambio di un supporto politico. Divenendo così il «cavallo di Troia» della 'ndrangheta dentro il Pirellone con la complicità della Lega, come lungamente espose in uno dei suoi monologhi televisivi su Raitre Roberto Saviano, contribuendo alla fine dell'era Formigoni in Regione. E invece no. Nella sua requisitoria - in corso da settimane e ancora non conclusa - ieri D'Amico ha fatto cadere proprio l'accusa di concorso esterno in associazione mafiosa. Chiedendo per questa il proscioglimento con riqualificazione del reato. Attenzione: non vuol dire che per la Procura quei fatti non siano accaduti. Si tratta di una correzione in corsa: non ci sono gli elementi per sostenere che fu concorso esterno, sostiene il pm, ma voto di scambio. Reato per altro già addebitato all'ex politico per altri fatti al centro del procedimento.

Nelle scorse udienze il pm D'Amico aveva ribadito che risulta «provato che i clan avevano stretto con Zambetti un patto di scambio per le elezioni del 2010». In sostanza: il processo che aveva al centro le infiltrazioni della 'ndrangheta in Lombardia diventa un processo incentrato sulla compravendita di voti. Uno scambio di merci - voti per soldi e favori - in cui secondo l'accusa sono coinvolti anche Alfredo Celeste, ex sindaco del comune di Sedriano, nella provincia milanese, e il presunto boss Eugenio Costantino. A carico di Domenico Zambetti, difeso dai legali Corrado Limentani e Giuseppe Cusumano, resta anche l'accusa di corruzione.

Fu l'inchiesta che segnò un prima e un dopo in Lombardia, con altre 17 persone - tra cui presunti boss e affiliati e alle cosche - rinviate a giudizio. Zambetti negli interrogatori si è sempre difeso negando di aver comprato voti dalle cosche e sostenendo invece di aver subìto minacce e di essere stato costretto a pagare e a fare promesse e favori.

Nelle carte si ipotizza l'ombra delle cosche suoi voti nelle comunali di Milano del 2011 anche per Sara Giudice,

ex pidiellina che si candidò a sindaco in rottura con il partito (non indagata). Il processo, davanti all'ottava sezione penale del tribunale di Milano, è stato rinviato al 4 novembre per il prosieguo della requisitoria.

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