Ramla (Israele)
«Non ha importanza quanti missili possono tirarci addosso. Siamo in grado di resistere a guerre convenzionali, ma anche ad attacchi con armi chimiche o batteriologiche», spiega, come se fosse assolutamente normale, Eilat Shinar, vice direttore di un gigantesco edificio del Maged David Adom, l'equivalente israeliano della nostra Croce rossa, ma con la stella di David. Un mega-bunker, a 20 chilometri da Tel Aviv, che in superficie ha un solo piano, ma sottoterra altri tre. Il quartier generale, costato 135 milioni di dollari, per le riserve di unità di sangue, un'incredibile banca del latte umano e una centrale per smistare le ambulanze in tutto Israele.
«All'anno siamo in grado di processare e smistare a tutti gli ospedali e sui campi di battaglia mezzo milione di sacche di sangue per pazienti e feriti, sia civili che militari», sottolinea Shinar con piglio da ufficiale mentre ci porta verso gli ascensori. «Adesso scendiamo al primo livello dove abbiano i laboratori», spiega la veterana del Marcus national blood services center. Al posto delle porte tagliafuoco ci sono quelle blindate Il personale sanitario è indaffarato a controllare provette e preparare sacche di sangue e plasma. Shinar tira fuori una delle sacche «speciali» e fa notare che per la prima volta dopo l'attacco stragista di Hamas del 7 ottobre «il corpo militare medico trasfonde il sangue non solo in elicottero quando evacuano i feriti, ma direttamente sul campo di battaglia». La mortalità è inferiore al 7 per cento, incredibilmente bassa. Al livello -3, 15 metri sotto terra, si dipanano asettici corridoi da terza guerra mondiale intervallati da mega-porte in acciaio. L'apertura manuale libera una folata di gelo di giganteschi magazzini mantenuti sotto lo zero. «Siamo nel rifugio del rifugio tre piani sottoterra - dichiara Shinar - dove conserviamo oltre 20mila sacche di sangue e plasma in caso di guerra su più fronti».
Un'altra ala del bunker ospita la banca del latte umano. Dietro vetrate gialle un'operatrice con guanti, mascherina e camice verde sta riempiendo dei grossi flaconi rossastri con latte bianco candido. «Durante gli eventi del 7 ottobre abbiamo capito che avevamo bisogno di latte per i neonati che non avevano più la possibilità di nutrirsi dalla madre biologica», racconta Sharron Bransburg Zabary, la bionda responsabile del centro. Alle sue spalle un'intera parete è costellata da oltre 600 stelline: «La nostra via lattea, che rappresenta le donatrici». Il latte umano serve per i figli «di chi è stata rapita, ferita oppure è in servizio nelle forze armate». Le mamme soldato, a cominciare dai piloti di caccia ed elicotteri, che non riescono ad allattare i figli.
Sempre sottoterra si apre una sala fantascientifica con dozzine di computer, dove un programma indica la posizione in Israele delle 1.600 ambulanze, 600 motociclette attrezzate per il soccorso e altri mezzi speciali. Giovani centralinisti, che parlano anche arabo, sono incollati al telefono per ricevere le chiamate di emergenza. Le postazioni sono sovrastate da mega schermi con la mappa digitale di Israele invasa da puntini rossi che segnalano l'intervento, gli elicotteri a disposizione ed i livelli di allarme. Quasi tutti gli operatori hanno una pistola infilata nella cintura dietro la schiena. Al volante di un'ambulanza gialla e rossa per le strade di Lod c'è Nadav Matzner. «Una delle storie più tristi è quella del nostro collega Adam Safadi di Majdal Shams», racconta il veterano dei soccorsi. Il villaggio druso è stato colpito il 27 luglio da un razzo che ha ucciso tredici ragazzini durante una partita di pallone.
«Subito dopo l'esplosione Adam è corso al campo di calcio trovandosi davanti a una scena orribile - racconta Matzner -. Per la figlia Vinis, 12 anni, non c'era niente da fare. Dopo lo shock ha preso fiato iniziando a prestare soccorso ai ragazzini feriti».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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