I pazienti arrivavano in emergenza, quando era ancora un cantiere. Era inevitabile, la furia del Covid-19 con 7mila contagi al giorno, era irrefrenabile e i nosocomi di Madrid erano in ginocchio. Una settimana fa era tutto per aria, ma con i primi pazienti curati in modo esemplare. Benché tutto. C'erano letti smontati, senza lenzuola e cuscini, bracci d'acciaio per la flebo ammucchiati, scatoloni sparsi e un andirivieni di operai, medici e infermieri instancabili, tutti uniti per prendere a calci quel mostro che ha sconvolto la vita di tutti.
I cinque principali ospedali di Madrid una settimana fa erano prossimi al collasso. Nel sistema sanitario pubblico dell'autonomia con più contagi e morti, non c'era più nessun posto letto disponibile. Né in degenza, né in terapia intensiva. Il Giornale è entrato nell'immenso ospedale da campo, col tetto d'acciaio, che sta decongestionando i nosocomi madrileni e salvando vite. Un esempio di «si può fare» tirato su in 15 giorni nel Padiglione 5, sala congressi, della Fiera.
I guariti sono molti, non si hanno ancora i dati, c'è un tiepido ottimismo. Dopo un veloce rodaggio, accompagnato dalle polemiche, l'ospedale è a regime. L'ha visitato re Felipe VI pochi giorni fa. Cura già 2.400 pazienti, raggiungerà a breve i 5.000 posti di degenza e accoglie 500 pazienti in terapia intensiva. «Stammi vicino e non toccare nulla e se il camice è troppo stretto al collo resisti», mi dice Enrique, capo infermiere mentre mi sigilla nel sarcofago in pvc. Le camere, di due a otto pazienti, sono state create da divisori mobili in cartongesso, tutto sterilizzato con nuovi bagni e i letti ben distanziati.
Questo, brutto, santo scatolone di guarigioni da 3 mila metri quadrati, ha le pareti di cemento scrostato, quindici metri di soffitto e una prateria di letti a labirinto. Dovrebbero dare i pattini agli infermieri che corrono come centometristi. «È stata un'impresa ai limiti», mentre indica le zone con i malati più gravi. Undici pazienti stanno lasciando l'ospedale. C'è aria di festa. Sono guariti, tornano a casa, dovranno fare i conti con la realtà, dopo questa doccia fredda che ha mandato in aria ogni sicurezza. C'è Belen, 64 anni, di Salamanca, che mormora «Gracias a todos!», con le mani a cuore. «Gente stupenda, dottori, infermieri e psicologi, mi sono stati vicini sempre». La donna è vedova da tre giorni, il marito Ignacio non ce la ha fatta, se n'è andato giovedì notte.
«Se non fossero arrivati i respiratori, ne avremmo persi tanti», dice Enrique, dietro tre strati di plastica. «Ha sicuramente contribuito a ridurre l'affollamento negli ospedali madrileni», spiega il dottor Raffaele Carraro, vice primario a La Princesa. «Negli ospedali si tira un po' il fiato, ci sono posti liberi in terapia intensiva».
L'enorme nosocomio, tra Hortaleza e l'aeroporto Barajas, ha anche una decine di stanze per accogliere i famigliari (massimo due) che vogliono vegliare, protetti dal virus, i loro parenti ormai al termine. Nessun altro nosocomio l'ha permesso, prima di oggi.
«Non potevamo non ascoltare le suppliche dei parenti», spiega il dottor Antonio Zapatero, direttore dell'ospedale.Intanto sono sensibilmente diminuiti i contagi e le morti, ma i totali spaventano ancora: 130.759 casi, 12.418 decessi e 38.080 guariti.
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