L'esplosione di Calenzano di ieri mattina, che ha causato morti e feriti, non è avvenuta in una raffineria, come inizialmente era stato riferito. È più corretto definire l'impianto alle porte di Firenze come un polo logistico in cui vengono stoccati derivati processati del greggio, precedentemente «sgrezzati» nella raffineria Eni di Livorno. Sono solo tre (più uno) gli impianti di lavorazione del petrolio del cane a sei zampe in Italia e, oltre a quello toscano, gli altri sorgono a Sannazzaro (provincia di Pavia) e a Taranto. A questi si aggiunge quello di Milazzo, di cui Eni è partecipata al 50% insieme a Kuwait Petroleum Italia.
La detonazione, e l'incendio che è rapidamente seguito a Calenzano, hanno fatto alzare una colonna di fumo nera e densa, visibile da tutta la Piana. Non è ancora noto quale carico, in quel momento, si stava compiendo nell'impianto ma l'aria è stata permeata dell'odore acre e pungente tipico degli idrocarburi bruciati ed essendo queste sostanze volatili e tossiche per l'uomo è stato consigliato l'utilizzo di mascherine e la chiusura di porte e finestre, nonché lo spegnimento degli impianti di climatizzazione. Tuttavia, in un successivo bollettino, Arpat ha rassicurato che «le concentrazioni in aria a livello del suolo a partire dalla conclusione delle operazioni di spegnimento sono da ritenersi trascurabili».
L'impianto di stoccaggio di Calenzano si estende su un'area complessiva di 170.300 metri quadrati sulla quale insistono un totale di 24 serbatoi e 10 pensiline per il trasferimento. Ai silo di Calenzano gli idrocarburi arrivano mediante due oleodotti che collegano il polo fiorentino alla raffineria con un'unica mandata in entrata. Si tratta di due impianti, ciascuno con diametro da 8 pollici, lunghi circa 90 km, attraverso i quali passa mediamente più di una tonnellata all'anno di prodotto petrolifero. L'azienda ha dichiarato che verso il deposito alle porte di Firenze (e terzi) viene movimentato circa il 37% di tutto il materiale che viene raffinato a Livorno. Quelli che arrivano a Calenzano sono solo idrocarburi processati e pronti all'utilizzo, che vengono conservati all'interno dei grandi serbatoi atmosferici cilindrici in attesa del trasferimento nelle stazioni di distribuzione per gli usi più disparati, dal riscaldamento all'utilizzo nell'automotive e nell'aeronautica. Mediamente, in base a informazioni del 2020, nello stabilimento di Calenzano vengono stoccate 162mila tonnellate di idrocarburi.
La struttura oggetto dell'incidente è operativa esclusivamente per «stoccaggio e movimentazione di prodotti petroliferi» che, nello specifico, sono benzina, gasolio e jet fuel, il cherosene per uso aeronautico. Non è previsto lo stoccaggio di sostanze in forma gassosa nell'impianto fiorentino, ma solo di materiale liquido che, da qui, viene poi smistato nei distributori mediante le autobotti. Uno dei luoghi chiave di questo impianto è proprio la linea di carico, il vero core-business della struttura, ossia la serie di pensiline in cui si posizionano i mezzi durante le fasi di riempimento. Ed è in questo punto che è avvenuto l'incidente: stando alle prime risultanze delle indagini è possibile che ci sia stato uno sversamento di liquido durante il carico del mattino, che ha generato poi l'esplosione e le fiamme. A perdere la vita, infatti, sono stati gli operatori che si trovavano in prossimità delle autocisterne.
Il rischio principale
era che le fiamme potessero raggiungere il parco serbatoi, situato a una distanza non eccessiva dal luogo in cui è avvenuto l'incidente, che con le fiamme sarebbero a loro volta esplosi, causando danni ancora più ingenti.
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