Nelle imprese italiane continua la grande fuga dalla loro Confindustria

Dopo i casi di Fiat, Amplifon e Cartiere Pigna, escono dalle associazioni di categoria anche Unipolsai e Salini

L'associazione di categoria non va più di moda. Le grandi imprese, quando possono, cercano di fare da sé senza passare dalla propria «Confindustria», senza farsi intrappolare in estenuanti trattative con il sindacato e, soprattutto, risparmiando i soldi per aderire a una confederazione che, in alcune situazioni, non riesce a tutelare al meglio gli interessi di tutti gli iscritti. Gli esempi cominciano a essere sempre più numerosi: Unipolsai e Salini Impregilo si sono uniti al treno formato un paio di anni fa da Fiat Chrysler, Amplifon e dalle Cartiere Pigna.

Cominciamo dalla fine. Ieri il cda di Unipolsai, oltre ad approvare la trimestrale, ha condiviso il progetto che prevede l'uscita dall'Ania, l'associazione che riunisce tutte le compagnie di assicurazione operanti in Italia. L'amministratore delegato, Carlo Cimbri, ha utilizzato espressioni formali. L'Ania non è più «adeguata ai tempi che cambiano», ha dichiarato aggiungendo che affinché il settore assicurativo «diventi effettivamente protagonista, è necessario poter contare su un organo di rappresentanza che sia attivo, propositivo e partecipe» e non giochi sempre di rimessa.

Toni paludati ma che hanno un sottinteso molto tagliente. L'associazione, guidata dal manager del gruppo Generali Aldo Minucci, è da oltre un anno imbottigliata nei rinnovi contrattuali sia degli agenti assicurativi che dei dipendenti delle compagnie. Nel frattempo, Unipol (gruppo che fa capo alle Coop) si è integrata con la vecchia FondiariaSai diventando, a tutti gli effetti, un colosso. Per digerire meglio la «preda», ha approntato un contratto agenti che premia i meritevoli e sfavorisce l'acquisizione di clienti pluri-incidentati (è il numero uno della Rc Auto in Italia, nd r). L'esecutivo dell'Ania, invece, conta trenta componenti e conciliare tutti gli interessi in un momento difficile come quello attuale è impossibile. Se a questo si aggiunge che l'associazione è rimasta spiazzata sulla Legge di Stabilità che aumenta le aliquote sulle polizze vita, il quadro si fa più chiaro. Così come è altrettanto chiaro che Unipolsai non abbia gradito di essere rimasta fin qui «isolata» dalla stanza dei bottoni. La proposta di riforma dello statuto dell'Ania è arrivata tardi e Cimbri ha salutato.

Discorso diverso per Salini Impregilo, il leader italiano delle costruzioni. È uscita dalle associazioni di categoria, Ance e Agi, ma è rimasta comunque affiliata a Confindustria. «Eravamo troppo grandi per un'associazione come l'Ance che tiene assieme imprese con interessi e esigenze diverse», ha detto l'ad Pietro Salini al Corriere sottolineando che Viale dell'Astronomia «può avere ancora un ruolo, ma è chiaro che si tratta di associazioni che dovranno ripensarsi se vogliono ancora contare». Un player globale, che realizza l'80% del fatturato e delle commesse all'estero e che è rimasto scottato dal «no» definitivo al Ponte sullo Stretto, deve necessariamente guardare oltre un'associazione che conduce battaglie meritevoli (diminuzione delle tasse sulla casa, sblocco del patto di stabilità interno dei Comuni per i lavori pubblici, ecc.), ma contestualizzate nella realtà nazionale.

Guardando a questi due ultimi esempi la scelta «pionieristica» di Sergio Marchionne e della sua Fiat Chrysler diventa meno avventata di quanto non sembri. Vincolarsi alle defatiganti trattative con la Fiom-Cgil, che dice «no» a tutto, può avere un senso quando l'orizzonte di un'azienda è tutto il mondo? Anche nel settore bancario si respira lo stesso clima viste le difficoltà nei rinnovi contrattuali. Ma gli strali dell'opinione pubblica nei confronti degli istituti di credito e gli «sconti» sulle quote associative all'Abi promossi dal presidente Antonio Patuelli hanno di fatto consentito che il fronte non si dividesse. Stare da soli, infatti, consente di dialogare meglio con i lavoratori perché le trattative diventano «faccia a faccia», ma rappresenta anche un rischio: espone l'azienda alla «benevolenza» del governo di turno.

Un presidente del Consiglio come Matteo Renzi potrà sempre giustificare la penalizzazione di un settore in nome dell'interesse generale. Il ruolo di ogni «Confindustria», quando ci riesce, è proprio evitare queste prevaricazioni.

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