François Bayrou è già uno e trino e foriero di polemiche. Non solo primo ministro francese ma resta anche sindaco di Pau (ieri ha presenziato al consiglio comunale volando in serata nella sua città natale). E pure supervisore di riunioni di crisi come quella a cui ha partecipato in videoconferenza una volta lasciata Parigi: sulla gestione delle operazioni nell'arcipelago di Mayotte, il territorio d'Oltremare tra il Mozambico e il Madagascar devastato dal ciclone, un centinaio di morti il bilancio provvisorio, mancanza di acqua potabile ed epidemia di colera da gestire.
Il centrista nominato venerdì dal presidente Macron ha infatti deciso di non perdere la poltrona di primo cittadino della sua comunità di 160 mila abitanti che raggruppa 31 comuni, tenendosi stretta la carica che ricopre da dieci anni nel sud dell'Esagono, a Pau, ed esplorando intanto i partiti a Parigi per scoprire se ci siano i margini per un accordo di non sfiducia. Ieri mattina le prime consultazioni, in attesa di capire se riuscirà a formare un governo che superi la prova dei numeri in un'Assemblea nazionale costretta ieri a votare una «legge speciale» per garantire il funzionamento dei servizi pubblici vista l'assenza di una nuova manovra di bilancio.
Bayrou, a sorpresa e contro le indicazioni dell'Eliseo, ha scelto di aprire le danze a Matignon chiamando per prima Marine Le Pen e il suo Rn: «Siamo stati ascoltati, ma è troppo presto per dire se le nostre proposte saranno accolte, mi rassicurano le azioni, non le conversazioni», ha detto la leader della destra, pubblicizzando però la promessa di incontri «regolari» e di un «cambio di metodo» rispetto al predecessore Barnier. «Tono più positivo oggi che prima», riassume soddisfatta Le Pen. Che non si sbilancia sul patto di non sfiducia a cui punta Bayrou. Solo dopo «BleuMarine», il neo premier ha ricevuto gli altri leader e partiti, tentando di creare un'alchimia tutta democristiana a cui la Francia di Macron non può ancora dirsi abituata. C'è la volontà di lavorare insieme qualunque siano le origini politiche. Larghe intese? Per ora, patti di non belligeranza all'orizzonte. Il Partito socialista, dopo l'incontro di ieri, ha fatto sapere che non entrerà nel governo restando all'opposizione; aspetta le proposte del programma «centrista» prima di promettere che non sfiducerà il premier assieme al fronte della gauche. Secondo il segretario Ps Faure, con Bayrou «non c'è accordo, siamo però dentro una logica di compromesso». Anche secondo i neogollisti, «non è stata una riunione conclusiva». Insomma, quadra lontana per far avanzare l'eventuale governo.
Unico a declinare l'invito di Bayrou, Mélenchon e la sua «Francia ribelle». Oggi tocca agli ecologisti. Secondo le indicazioni dell'Eliseo, il neo premier dovrebbe navigare attraverso geometrie variabili fino al 2027. Ma al tempo stesso Bayrou sfrutta il doppio ruolo per lanciare un j'accuse alla classe politica, inclusi i membri del suo partito MoDem e, sottinteso, anche Macron: «La relazione tra i responsabili del potere e la base della Francia non può più essere rotta com'è in questo momento, la politica si deve radicare di nuovo nella società, nei villaggi, nei comuni, nelle banlieue, nelle città, tutti abbiamo sbagliato se c'è sfiducia verso la classe politica».
A parte mettersi al riparo da una potenziale caduta, la scelta di rimanere sindaco serve a Bayrou per mostrarsi vicino ai francesi, più di quanto non sia
il presidente della Repubblica, al minimo storico nel gradimento. Critiche però da sinistra: «Indegno e irrispettoso vedere che la sua priorità è il suo consiglio comunale», attacca il deputato socialista Arthur Delaporte.
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