Il giorno dopo lo showdown aereo sui cieli della Siria il Medio Oriente non è più lo stesso e probabilmente non lo sarà più. A fare la differenza è l'entrata in scena ufficiale dell'Iran nel ruolo di protagonista militare, sia pure al momento in forma indiretta e per il tramite di un drone, quello abbattuto dagli israeliani nei cieli della Galilea, un'intrusione che ha dato il via a una durissima reazione dell'aviazione militare israeliana su obiettivi iraniani e siriani nel territorio controllato dal regime di Bashar el Assad. Episodio che si è concluso con il raro evento dell'abbattimento di un F-16 di Gerusalemme, il che ha fornito a Teheran l'occasione di lanciare (compito lasciato a un capo dei fanatici Pasdaran) oscure minacce di distruzione non solo dello Stato ebraico, ma anche di «tutte le basi americane nella regione».
Il tema di oggi è il rischio, reale anche se i tempi sono incerti, di una escalation di questo conflitto latente, che vede Israele contrapposto alla Siria e ai suoi alleati, che non sono solo l'Iran e le milizie sciite libanesi di Hezbollah da esso finanziate e armate, ma anche - e siamo su un altro livello - la Russia di Vladimir Putin.
Ieri il premier israeliano ha puntato il dito soprattutto contro Teheran: abbiamo dimostrato di poter colpire chi ci minaccia, ha detto Benjamin Netanyahu, e continueremo a farlo: intanto ha ordinato il rafforzamento delle difese al confine siriano. Il suo ministro Naftali Bennet aggiunge che Israele «sta conducendo una campagna militare di successo contro la presenza iraniana in Siria», e che quello che è stato fatto è «appena l'assaggio di ciò che possiamo fare».
Il rischio che un conflitto di questo tipo «sfugga di mano» si è innalzato di molto dopo i fatti di sabato. La situazione in Siria, dove sono contemporaneamente presenti forze militari di almeno sette Paesi tra cui russi e americani, è sempre più complessa e pericolosa. A giocare il ruolo di arbitro dell'aggrovigliata partita (seppure tutt'altro che imparziale, essendo uno strettissimo alleato di Assad) è il russo Putin, che ha saputo approfittare dell'inazione sostanziale degli otto anni di presidenza Obama. Putin ha intessuto nei mesi scorsi un proficuo rapporto anche con Netanyahu, al quale garantisce che iraniani e siriani non superino linee che Israele considera invalicabili.
Ma quando un innervosito Netanyahu ha telefonato al Cremlino, ha ricavato l'impressione che il legame di Putin con Teheran e Damasco sia più forte delle garanzie che pretende di offrire a Israele.
Cresce anche la sensazione che i segnali inviati un paio di mesi fa da Mosca su una presunta intenzione di sganciarsi dalla Siria non fossero credibili: in una fase così complessa la Russia non può tirarsi fuori. Il premier israeliano ha dunque cercato e raccolto ben più nette rassicurazioni dal segretario di Stato americano Rex Tillerson, che pure ha sentito al telefono.
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