"No, si dice signor Presidente...". Draghi e la lezione ai perbenisti

Il caso ad inizio del discorso, poi il premier affronta il tema di genere: "Una vera parità di genere non significa un farisaico rispetto di quote rosa"

"No, si dice signor Presidente...". Draghi e la lezione ai perbenisti

Se il buongiorno si vede dal mattino, il Draghi pensiero su quote rosa e temi simili appare chiaro sin dall’incipit del suo discorso. Pochi forse se ne sono accorti, è passato come un soffio di vento, ma nel ringraziare Maria Elisabetta Casellati per avergli dato parola, il premier l'ha chiamata “il presidente”. Al maschile: niente "la" presidente o la "presidentessa". Sottovoce qualcuno in Aula deve aver provato a correggerlo, perché dopo essersi voltato verso i banchi della sinistra, Draghi ha ribadito all’ignoto interlocutore la sua scelta: si dice "il presidente". Punto.

Ora, in altri tempi da questo "fuori-onda" sarebbe scaturita una discussione infinita. SuperMario ha fatto bene o male? È stato un approccio sessista? È d’accordo con quei buzzurri della destra maschilista? Conte, per dire, usava dire "signora". E se al posto della Casellati ci fosse stata Laura Boldrini, forse l’ex presidente si sarebbe infastidita. Non che a suo tempo volesse essere chiamata con l’imbarazzante "presidentessa", non sia mai, ma una volta disse chiaramente che il suo desiderio era quello di sentirsi rivolgere col titolo di "la presidente". Draghi con un semplice "il" ha infranto i desiderata boldriniani, rispettando tuttavia a pieno le indicazioni date dalla Casellati. Sin dalla sua elezione, infatti, la senatrice forzista ha messo in chiaro non solo di non voler sentire l’obbrobrio del suffisso -essa. Ma nel sito ufficiale di Palazzo Madama fa sempre usare il riferimento al maschile: il Presidente Casellati, il Presidente del Senato e via dicendo. Il motivo? Ci si rivolge alla carica, non alla persona che ne occupa la sedia. Draghi ne ha tenuto conto, con tanti saluti ai perbenisti.

In realtà la questione di genere ha interessato buona parte del pragmatico discorso programmatico, con un approccio peraltro particolare. Forse inatteso. Draghi ha focalizzato il problema: ha citato le differenze sui tassi di occupazione, la "cronica scarsità di donne in posizioni manageriali di rilievo", il gap salariale "tra i peggiori in Europa". Tuttavia per SuperMario "una vera parità di genere non significa un farisaico rispetto di quote rosa richieste dalla legge”. Non serve cioè, o non basta, riservare delle caselle in base al sesso: va premiato il merito, garantendo però "parità di condizioni competitive". Bisogna cioè permettere alle femminucce di battagliare ad armi pari con i maschietti, non trasformare i Cda in riserve per indiani o fissarsi sui termini tipo "ministra" (la questione non è se si può dire o meno: è un dibattito idiota).

Il governo proverà a risolvere i problemi puntando "ad un sistema di welfare che permetta alle donne di dedicare alla loro carriera le stesse energie dei loro colleghi uomini, superando la scelta tra famiglia o lavoro". Parole sacrosante, quelle del premier, ma non è detto che convinceranno i tanti tifosi delle quote rosa. Mia madre, per dire, non è d’accordo: sostiene che senza una legge nella corsa alla carriera in azienda i maschi avranno sempre il vantaggio di non dover mettere al mondo i figli e di non doverli allattare. Vedremo quali soluzioni troverà l'ex banchiere.

Ultimo appunto. Il riferimento al "farisaico" intestardirsi sulle quote rosa potrebbe anche essere una risposta alle polemiche (peraltro piuttosto blande) sulla neonata squadra di governo. Su 23 ministri, solo 8 sono donne. Nessuna in casa Pd, dove infatti il partito è in fibrillazione e le signore dem sbracciano per i posti di sottogoverno. Ma anche nelle caselle chiave di fede draghiana a prevalere è il testosterone: su 8 tecnici, solo 3 sono delle miss (Cartabia, Lamorgese, Messa). E nessuna di loro occupa ruoli di peso in ottica Recovery Fund. Gender gap? Maschilismo? Non credo.

Draghi da capo della Bce si è confrontato con donne potentissime, come Janet Yellen, Christine Lagarde e Angela Merkel. Non credo professi la superiorità del maschio. Ha solo fatto capire che nella sua strategia di governo, e nella sua squadra, non applicherà quote rosa in stile spartizione di genere. La strada, dice, è un’altra.

@GiusDeLorenzo

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