Il Nobel della fisica ai padrini dell'IA. I timori per il futuro: "Può sfuggire di mano"

Hopfield e Hinton hanno aiutato i computer a pensare: "Ci supereranno in intelligenza"

Il Nobel della fisica ai padrini dell'IA. I timori per il futuro: "Può sfuggire di mano"
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Il cervello, forse, è un'equazione. Ma di sicuro ora è un'equazione che può spiegare il cervello, e replicare il suo schema in un'intelligenza artificiale. È questo, in sintesi, il perché del Premio Nobel 2024 assegnato all'americano John J. Hopfield e al canadese Geoffrey E. Hinton, gli scienziati che hanno usato gli strumenti della fisica per porre le basi dello sviluppo attuale dell'apprendimento automatico: «La capacità di imparare in modo autonomo da parte dei computer, basata sulle reti neurali artificiali, oggi sta rivoluzionando la scienza, l'ingegneria e la vita quotidiana». Tutto bellissimo, però...

È un po' la storia dei figli che a un certo punto della vita sfuggono ai padri. Figurarsi a dei fisici come Hopfield, oggi 91enne, che viene considerato il «padrino dell'IA», ed anche ad Hinton (ora 77enne) che, dopo dieci anni di lavoro a Google, se n'è andato preoccupato: «Non potevo parlare liberamente dei pericoli che stavamo costruendo». È anche dunque la Storia dell'umanità, quella che ci ha portato fin qui nel progresso, ma che spesso ha lasciato dietro di sé anche macerie. E d'altronde, dicono loro, «l'IA è un po' come la rivoluzione industriale. Solo che quella ci ha superati nella forza del lavoro, in questo caso ci supererà nell'intelletto». Quando? «Fino a un po' di tempo fa sarebbe accaduto non prima di 30-50 anni - aggiunge Hilton - adesso non sono più sicuro».

E allora: è come Einstein con l'atomica? È una questione di coscienza, intesa come quella umana che le macchine non hanno, ma che adesso sappiamo che un giorno potrebbero avere. Non è invece ancora una questione di pentimento, perché è vero che possediamo una cosa meravigliosa e terribile allo stesso tempo, però siamo ancora in tempo a decidere da che parte stare. I due scienziati intanto hanno messo insieme una rete neurale (i cui studi avevano già portato Hinton al Premio Turing), partendo dal lavoro di Hopfield, che nel 1982 era riuscito a replicare la reazione di un cervello umano nel momento in cui richiama i ricordi. Secondo i calcoli del «Padrino» il comportamento di nodi e connessioni assomigliava alla rotazione degli atomi intorno a un magnete. Hinton poi ci ha aggiunto l'equazione di Boltmann, quella che descrive l'energia di un sistema, per arrivare a un esempio di IA generativa che ha portato poi a tecnologie come riconoscimento vocale, traduzioni linguistiche e chatbot. Insomma tutto quanto ormai fa un software come ChatGPT.

Siamo davanti dunque a un'operazione complessa e, per certi versi, misteriosa. Eppure adesso tradotta in un calcolo matematico per far sì che l'intelligenza artificiale sappia fare la stessa cosa di quello che abbiamo noi in testa, sempre più veloce e senza soluzione di crescita. Imparare dai propri dati per espandersi insomma, così come imparare dai propri errori per diventare migliori (ma anche peggiori). Solo che questo accade in triliardi di operazioni al secondo. E il segreto, è come hanno fatto i due, è stato mettere insieme diverse discipline scientifiche, come biologia, informatica e psicologia, finendo poi per far tradurre tutto appunto alla fisica. Per arrivare al Nobel.

Resta la domanda, inquietante: dobbiamo avere paura? «Questa tecnologia può portate enormi miglioramenti in molti settori - spiega Hopfield -, però dobbiamo comunque preoccuparci di una serie di possibili conseguenze negative, che le cose sfuggano al nostro controllo». L'equazione umana spiega che in passato ciò è già successo molte volte, ma in fondo non è ancora matematico che i robot poi saranno così cattivi.

L'unica certezza è che per il momento possiamo dare una risposta a Philip K. Dick, l'autore del racconto che diventerà al cinema Blade Runner. Insomma: Gli androidi sognano le pecore elettriche?. Ora sappiamo che è così.

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