Fuori dall'incontro con il capo dello Stato, davanti alle telecamere, Matteo Renzi, nel rispetto delle liturgie delle crisi, ha misurato le parole, ponendo al centro le questioni programmatiche, sorvolando sui nomi, anche se il concetto di «discontinuità» lo ha più o meno evocato. Dentro, invece, è stato più chiaro, quasi esplicito. Ricordando tutto quello che è intervenuto nei suoi rapporti con Conte. «Caro Presidente ha detto in sintesi io non ho alcun pregiudizio, ma posso fidarmi di chi sulle questioni che ponevo, che riguardano il futuro del Paese, è stato sempre evasivo?». Un modo per dire che emergenze come la pandemia o la crisi economica hanno bisogno non solo di un progetto, di una visione per i prossimi anni, ma che anche di una gestione diversa. Eppoi, ha tirato in ballo una questione politica di non poco conto. «Invece di darmi delle risposte ha raccontato con questo reclutamento, vano, di senatori, che sicuramente non ha giovato all'immagine delle nostre istituzioni, Conte ha tentato fino all'ultimo di uccidermi politicamente. E ora, come se non fosse successo niente, punta a fare un governo con me».
Questa crisi ha una narrazione che va avanti su due piani sovrapposti, che spesso si confondono: il Conte che porge una mano e nell'altra nasconde il coltello. E in queste condizioni Matteo Renzi, dentro lo studio alla Vetrata del Quirinale, per risparmiarsi brutte sorprese in futuro, è stato ben più netto di quanto non lo sia stato fuori: «Per essere chiari, Presidente, i miei voti per il Conte ter per ora non ci sono. Né cambierei opinione anche se Conte ricevesse l'incarico. La soluzione da dare alla crisi va esplorata».
Questo non significa che Renzi si opponga alla riproposizione dell'attuale maggioranza di governo: lo verificherà un possibile esploratore, appunto, magari il presidente della Camera Roberto Fico. «Si deve ragionare, bisogna chiarirsi ha spiegato - io non ho nulla in contrario. Anzi, preferisco un governo politico. Ma si può anche osare di più, esplorare la possibilità di un governo istituzionale, di larghe intese, che guardi all'Europa con personalità competenti. Io penso, ad esempio, che un Mario Draghi, per il ruolo che ha avuto in Italia, ma, soprattutto, in Europa, potrebbe essere la persona più adatta per gestire la nostra politica economica, dandogli una visione di lungo periodo e garantendoci la fiducia di Bruxelles. Tutti siamo consapevoli della drammatica situazione in cui versa il Paese».
La crisi su due piani, appunto. Come il Conte di ieri, che a poche ore dalla consultazione di Italia Viva al Quirinale, dopo un silenzio durato settimane, ha alzato il telefono e ha chiamato l'avversario nel tentativo (ormai disperato) di riaprire un discorso rimuovendo dalla memoria le parole sprezzanti, i veti, i tentativi di portargli via parlamentari di questi giorni. L'avvocato d'affari prestato alla politica, ha tentato nel suo stile di smussare gli angoli: «Vedi gli ha confessato per rompere il ghiaccio io non sono capace di reclutar responsabili...». Il suo interlocutore, però, è stato franco: «Io non ho nulla di personale nei tuoi confronti ha voluto precisare solo che ci dividono enormi questioni politiche. Addirittura anche il modo con cui ci rapportiamo alla politica». E per essere più diretto, ricordando le lusinghe usate dal premier dimissionario nelle settimane scorse per arruolare gente, Renzi gli ha chiesto a bruciapelo con una punta di ironia: «Ma poi sei già diventato vegano come avevi promesso a Ciampolillo per conquistarlo?». Conte per suscitare un minimo di simpatia ha risposto: «No questa sera mangio una bistecca».
Se c'è una cosa che Renzi non potrà mai perdonare a Conte è proprio il modo con cui ha cercato di farlo fuori. Un'operazione condotta in prima persona dal premier, un «suk istituzionale» che lo ha visto protagonista come un qualsiasi mercante di tappeti. E il negozio dove ha offerto il tè, dove ha condotto le trattative, è stato addirittura la sede del governo, Palazzo Chigi. Ha ricevuto lì, come ha confermato l'interessato alla trasmissione de La7 L'Aria che tira, pure Luigi Vitali, il forzista che prima ha aderito al gruppo contiano ma dodici ore dopo lo ha abbandonato, quando ha capito che non era una cosa seria. Del resto Bruno Tabacci, l'ex dc che gli ha organizzato il gruppo alla Camera, per settimane ha vissuto in un ufficio accanto al premier sempre nella sede del governo. Come pure altri luoghi istituzionali hanno visto nascere il partito dei «quattro gatti randagi» di Conte in Parlamento. Ad esempio, in questi giorni le feluche della Farnesina, hanno visto aggirarsi vicino agli uffici del sottosegretario Merlo, arrivato direttamente nel Parlamento italiano dalla pampa argentina, frotte di senatori in cerca di una casa politica. E hanno sentito i lamenti del poveretto metà in spagnolo, metà in italiano: «Non lavoro più, i grillini Fraccaro e D'Incà mi telefonano due volte l'ora. Mi chiedono se siamo aumentati e io gli rispondo di no. Passa un po' di tempo e mi ritelefonano chiedendo di ricercare senatori che hanno già detto no». Un tormento. Ma come si sa, visto che Conte è Zelig, se gli altri giocano due parti in commedia in questa crisi, lui arriva a tre: trattava con Renzi, cercava di farlo fuori e ora persegue il sogno più segreto, quello di andare alle elezioni. L'ultima proposta di Tabacci ai grillini che vogliono far pace con Italia Viva è più o meno questa: «Visto che la curva dei contagi si sta appiattendo, si può anche pensare di andare a votare subito, se ci aiutate nell'impresa avrete un posto in lista sicuro».
Due piani, anzi tre, per Conte. Il Pd, invece, ne ha solo due di piani, anche se spera ancora di riportare la calma tra il premier dimissionario e Renzi: la speranza, si sa, è l'ultima a morire. Altrimenti, c'è il piano di chi continua a minacciare il voto per convincere gli altri ad ingoiare Conte e mantenere la poltrona di ministro. «Io, Zingaretti e Orlando ha confidato Boccia, dando voce ai pronipoti del Pci siamo tutti d'accordo: a meno di un intervento pesante di Mattarella, dobbiamo andare alle elezioni ora, per regolare i conti dentro il partito e con Renzi». Più che propositi, sogni. Sull'altro piano, quello pragmatico e realista, Luca Lotti, che interpreta l'anima cattolica, ha fatto questo ragionamento a quelli del suo mondo: «Facciamo passare il primo giro di consultazioni, poi noi, ma anche Zingaretti, non possiamo impiccarci sull'altare del Conte ter».
E torniamo a Renzi, che i suoi due piani non li nasconde. C'è la vecchia maggioranza, ma se veti e intransigenza nei suoi confronti non scemeranno, c'è sempre il governo istituzionale. Ieri il leader di Italia Viva ha anticipato a Berlusconi, cosa avrebbe detto al Quirinale. E gli ha spiegato pure che in fondo Draghi potrebbe anche essere interessato al Mef. Il Cav per saperne di più ha subito informato Gianni Letta, diviso tra la voglia di un governo istituzionale e la simpatia per Conte.
«Draghi non è disponibile», è stato il responso del gran visir del Cav, anche per non dare un dispiacere all'attuale inquilino di Palazzo Chigi, ma Renzi, che sta lavorando alacremente per mettere in campo l'uomo che è la migliore garanzia che possiamo avere con l'Europa, si è limitato a dire: «Non è così».
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