"Non illudiamoci, l'Afghanistan rischia di tornare a 20 anni fa"

Draghi lavora al G20 straordinario. Oggi l'incontro con il russo Lavorov, ma il nodo resta la posizione della Cina

"Non illudiamoci, l'Afghanistan rischia di tornare a 20 anni fa"

È metà mattina quando Mario Draghi invia il suo messaggio di apertura alla Conferenza G20 sull'empowerment femminile che si tiene a Santa Margherita Ligure. E anche se i due attacchi kamikaze all'aeroporto di Kabul arriveranno solo nel primo pomeriggio, quella del premier è già una riflessione molto franca e realista della crisi che si sta consumando in Afghanistan. Una vera e propria «déb â cle», come l'hanno definita prima il ministro della Difesa Lorenzo Guerini e poi il commissario Ue Paolo Gentiloni. Espressione che, probabilmente, rappresenta anche il pensiero dell'ex numero uno della Bce. Draghi, infatti, non nasconde il forte timore che l'Afghanistan possa improvvisamente tornare indietro di venti anni. E solo a tarda sera, ormai arrivate le 23, il presidente del Consiglio condanna pubblicamente «l'orrendo e vile attacco» di Kabul «contro persone inermi che cercano la libertà».
Nell'aprire la prima conferenza sulla parità di genere nella storia del G20 (che si tiene in Liguria e sotto la presidenza italiana), il premier invita invece tutti a «non illudersi». Perché «le ragazze e le donne afghane sono sul punto di perdere la loro libertà e la loro dignità», stanno per «tornare alla triste condizione in cui si trovavano venti anni fa» e «rischiano di diventare ancora una volta cittadine di seconda classe, vittime di violenze e discriminazioni sistematiche». Parla della condizione femminile Draghi, ma è evidente che il suo intervento è una riflessione complessiva sullo stato delle cose in Afghanistan. Dove, è il suo auspicio, «le conquiste raggiunte negli ultimi venti anni devono essere preservate».
Il premier torna poi a insistere sulla necessità che il gruppo dei Venti più industrializzati si faccia carico della crisi afghana. «In quanto Paesi del G20 - spiega - abbiamo degli obblighi non soltanto nei confronti dei nostri cittadini, ma anche verdso la comunità globale». La strada per un anticipare a settembre la riunione del G20 già in programma a Roma per il 30 e 31 ottobre non è però in discesa. C'è il via libera di tutti i partner del G7, compresi gli Stati Uniti. Ma resta da dirimere il nodo del difficile equilibrio tra Cina e Russia. È del tutto evidente, infatti, che senza Pechino e Mosca è impossibile trovare un'intesa per una soluzione condivisa della crisi. Ma Cina e Russia hanno interessi contrapposti perché puntano entrambe ad accreditarsi come interlocutori privilegiati dei talebani. Pechino per ragioni squisitamente economiche, oltre che per garantire i confini della regione della Xinjiang, dove è presente la minoranza islamica cinese degli uiguri. Mosca per motivi più squisitamente geostrategici e per il timore di una recrudescenza del terrorismo.
E proprio questa mattina Draghi incontrerà a Palazzo Chigi il ministro degli Esteri russo, Sergej Lavrov. Un appuntamento in programma da tempo, ma che sarà certamente l'occasione per fare il punto sull'Afghanistan. Anche se, in verità, il vero nodo al momento è la Cina. È da qualche giorno che si vocifera di possibili contatti tra il premier e il presidente cinese Xi Jinping, ma al momento non è arrivata alcuna conferma ufficiale. Segno che o la telefonata non c'è ancora stata oppure non è andata come si sperava. Resta Pechino, infatti, l'incognita al G20 straordinario su cui tanto sta spingendo Draghi.

Un format che coinvolgerebbe anche Turchia, Arabia Saudita e India, tutti Paesi chiave nell'area. E che dovrebbe necessariamente essere allargato anche al Pakistan, non solo per la sua influenza diretta sull'Afghanistan ma anche perché sostenitore storico - ancorché mai dichiarato - delle ragioni dei talebani.

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