"Imbracciamo i kalashnikov per non lasciarci sterminare"

"Non permetteremo che si ripetano i massacri del passato ai nostri danni"

"Imbracciamo i kalashnikov per non lasciarci sterminare"

Bakufa (Irak) - Il volontario con il rosario al collo bacia la croce sul portone metallico, prima di entrare nel piccolo cimitero della chiesa di San Giorgio. Tre cristiani in armi presidiano il viottolo con alle spalle il campanile. Yousef Toma, il tarchiato e occhialuto comandante di 58 anni, è un veterano delle infernali paludi di Fao durante la guerra Iraq-Iran degli anni Ottanta. Il suo primo nome, Aodesko significa «servo di Cristo». La dozzina di cristiani in mimetica cachi e armi leggere pattuglia il villaggio di Bakufa, nella piana di Ninive, dove vivevano 500 famiglie prima di venir cacciate dal Califfato.

«Vogliamo dimostrare al mondo che in Iraq combattiamo in nome della nostra civiltà millenaria - annuncia il comandante Toma -. Siamo stati vessati per secoli e abbiamo subito genocidi come quello degli armeni. Non permetteremo che si ripetano». L'11 agosto, quattro giorni dopo la tremenda avanzata dello Stato Islamico in Iraq, è nata la milizia cristiana Dwekh Nawsha, che significa letteralmente «sacrifichiamo noi stessi». Una costola armata del Partito patriottico assiro con un centinaio di uomini, secondo il comandante. Pochi e senza armi pesanti, ma decisi «a morire per liberare i villaggi cristiani occupati» dal Califfato nella piana di Ninive.

Nella chiesa di San Giorgio hanno salvato crocifissi e antichi volumi del vecchio e nuovo testamento scritti a mano, che i seguaci della guerra santa avevano gettato nella polvere.

Altri tre movimenti politici stanno stringendo un patto per formare un «esercito» cristiano composto da 700 uomini. A dare man forte dovrebbero arrivare, autorità curde permettendo, 150 veterani cristiani della guerra in Siria. Le armi sono pronte a venir inviate da Samir Geagea delle Forze libanesi.

Ad Al Qosh, roccaforte cristiana del Kurdistan, opera un altro gruppo armato di volontari assiri. «Il kalashnikov è l'unico vero amico, dopo che le forze irachene si sono dissolte ed i curdi spariti in una notte davanti alle truppe del Califfo», sostiene l'ex insegnante Athra Mansoor Kado. La «forza di protezione» cristiana conterebbe su migliaia di potenziali reclute, comprese decine di volontari pronti a partire dall'Europa e dagli Usa «ma non abbiamo abbastanza armi e munizioni» ammette il giovane comandante.

La missione è proteggere le famiglie cristiane di Al Qosh ed organizzare l'evacuazione se arrivassero le truppe jihadiste. La sede della milizia del Movimento democratico assiro, con due parlamentari a Bagdad, è una specie di fortino con il grande simbolo assiro sulla facciata. Sul tetto, una casamatta per le sentinelle domina le vie di accesso alla città. Il problema è che ogni volontario ha un fucile mitragliatore, 120 proiettili e niente altro. Le mimetiche, i giubbotti antischegge e le giberne sono spesso comprati con collette realizzate all'estero.

«Sappiamo che arriverà in Kurdistan un gruppo di militari italiani - sottolinea il comandante assiro -. Non chiediamo di combattere per noi, ma di aiutarci a farlo con armi e addestramento. In fondo siamo cristiani come voi».

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