L'arrivo di Molnupiravir, che tanta attenzione ha suscitato l'altro giorno tra gli specialisti, è un tassello in più nella lotta al coronavirus, che si affianca agli anticorpi monoclonali, all'uso di cortisone, eparina e altri farmaci già conosciuti e usati da tempo, e ovviamente ai vaccini. In appena diciotto mesi si è passati dall'essere spiazzati davanti a un nemico feroce e apparentemente imbattibile a un arsenale terapeutico già importante e che si arricchisce.
L'antivirale sviluppato da Merck (MSD) e Ridgeback Biotherapeutics è ancora in fase 3 di sperimentazione e in attesa di ok, «quindi non bisogna dire che subito tutti avranno la possibilità di avere questa terapia ma sicuramente è un'arma, che ci aiuterà. Perché, anche con elevatissime coperture vaccinali, la malattia Covid sarà endemica e quindi dobbiamo assolutamente avere terapie per gestire e azzerare il costo sociale e il dolore causati dai casi gravi», afferma Fabrizio Pregliasco, virologo dell'università degli Studi di Milano.
Punto di forza dell'antivirale, oltre che per i risultati nella diminuzione della metà di ricoveri e decessi, è l'assunzione orale e a domicilio. É «fondamentale considerare l'importanza di un farmaco maneggevole prosegue - ci sono già altri di strumenti, che ci aiutano sul fronte terapie per malati Covid. Come anakinra», per il quale l'Agenzia italiana del farmaco Aifa ha dato via libera all'utilizzo anche in Italia in alcune tipologie di pazienti Covid ospedalizzati, insieme ad altre due molecole (baricitinib e sarilumab), farmaci immunomodulanti, attualmente autorizzati per altre indicazioni.
Questi tre farmaci, pur avendo proprie specificità, si aggiungono al tocilizumab nel trattamento di soggetti ospedalizzati Covid con polmonite ingravescente, sottoposti a vari livelli di supporto con ossigenoterapia. Tale decisione, allarga il numero di opzioni terapeutiche e nello stesso tempo consente di evitare che l'eventuale carenza di tocilizumab o di uno di questi tre farmaci possa avere un impatto negativo sulle possibilità di cura. Abbiamo perciò «strumenti interessanti, che stanno consolidando con i tempi della scienza un approccio più proattivo. Ad oggi dobbiamo dire che il cortisone e l'eparina, da dare quando serve senza eccedere, rappresentano già un modo di trattare al meglio possibile», sottolinea l'esperto.
C'è poi tutta l'esperienza acquisita «nella gestione respiratoria, senza che sia troppo invasiva e che quindi non danneggi i polmoni. É importante considerare che ci sono tanti approcci», conclude Pregliasco. Ci sono poi anche gli anticorpi monoclonali bamlanivimab, etesevimab casirivimab ed imdevimab, usati anche in combinazione, e il report numero 26 di Aifa, ci dice che ci fino al 30 settembre ci sono state in Italia 10.538 prescrizioni di anticorpi monoclonali al netto di quelle senza dispensazione.
Intanto la ricerca prosegue e una delle ultime sperimentazioni arriva dalla Norvegia: è una combinazione promettente, testata in laboratorio, con il farmaco Nafamostat, già in uso come monoterapia anti Covid e in fase di test approfonditi in vari Paesi, e un interferone alfa (IFN), utilizzato principalmente per il
trattamento dell'epatite C. Entrambi attaccano un fattore cellulare TMPRSS2, che svolge un ruolo assolutamente fondamentale nella replicazione virale; usati in combinazione a basse dosi minimizzano gli effetti collaterali.
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