Non solo ribelle e pacifista. Ecco il vero Dylan da Nobel

Era il "Vescovo della protesta" ma ha allontanato ogni etichetta. Dicendo: "Ho il sangue della terra nella voce"

Non solo ribelle e pacifista. Ecco il vero Dylan da Nobel

Ancora oggi rimane fedele a se stesso, un solitario che non guarda in faccia nessuno: giovedì ha tenuto un concerto ma per ora - primo caso nella storia - non ha ancora detto una sola parola sul Nobel. Magari fa finta che non gliel'abbiano dato! Lo chiamavano il vescovo della protesta, attribuendo alle sue canzoni significati che andavano oltre la sua stessa volontà. Credevano fosse il Messia, ma mentre la sua amica Joan Baez si batteva a spada tratta per i diritti civili, Bob Dylan sparava in faccia al mondo il suo celebre «Non sono il portavoce di nessuno». Da quando si è smarcato dai santoni del pacifismo Dylan ha smesso di interessare i media, tranne quelli musicali, certo, ché la sua vena artistica e poetica ha continuato a crescere fino ai giorni nostri. La definizione che più gli si attaglia è quella di «erede designato dello spirito della Terra», creata da Alessandro Carrera, docente di Letteratura Italiana a Houston, traduttore della biografia Chronicles e del corpus di testi Lyrics 1962-2001. Del resto è quello che canta in I Feel A Change Comin' Home (tratta da Together Trough Life del 2009) dove dice chiaramente «ho il sangue della terra nella voce». È la frase che ribadisce la sua vocazione di menestrello popolare che canta sentimenti universali attraverso i suoi personaggi inventati (ma più realistici del vero) come The Jokerman o il fante di cuori della magnifica ballata Lily Rosemary and the Jack of Hearts. A Dylan interessa l'anima eterna dell'America, lo spirito dei padri fondatori cantato in modo crudo e diretto come nessuno (se non Woody Guthrie, Pete Seeger e alcuni bluesmen come Blind Lemon Jefferson) avevano fatto prima. «Mi sentivo a casa mia in quel regno mitico fatto più di archetipi che di individui», dirà. La controcultura passa e diventa nostalgia, lui rimane un bardo per le generazioni più trasversali (cattura persino i Nirvana e il pubblico del cinema con la splendida colonna sonora del «peckimpiano» Pat Garrett & Billy The Kid che contiene l'emozionante Knockin' On Heaven's Door) e per lui la controcultura diventa presto «un grande spaventapasseri vestito di foglie morte». Sempre più vicino alla gente che ai vati della beat generation, abiurerà presto la sua passione per quel modello di vita, come ricorda in Chronicles: «Già nei primi mesi a New York avevo perso ogni interesse per quel modo di vedere le cose da hipster a caccia di emozioni forti che Kerouac descrive così bene in Sulla strada. Quel libro era stato la Bibbia per me. Mi piacevano ancora quelle frasi ritmate e mozzafiato ma il personaggio di Moriarty mi sembrava senza scopo, una di quelle figure che ispirano idiozia». Se Dylan non avesse scritto grandi canzoni di protesta come The Times They Are A-Changin' negli Anni '60, nessuno sentirebbe nostalgia per quel periodo. «Dylan peraltro non era politico neanche quando scriveva canzoni di protesta - sottolinea Carrera - non aveva né preparazione né coscienza politica, e il suo discorso era etico, non politico». Dylan non ha mai perso la sua strada e se la sua «trilogia elettrica» ha cambiato per sempre il rock, anche Time Out of Mind (il ritorno di Dylan nel '97 dopo lo scarso successo degli anni Ottanta), Love and Theft e Modern Times sono album che segnano la sua maturità di poeta e di artista che ha allargato sensibilmente il suo successo commerciale.

Anche dal punto di vista religioso il buon vecchio ebreo Dylan non manca di far parlare di sé quando, nel 1979, pubblica Slow Train Coming (definito da Rolling Stone «il Dylan più puro») e dichiara di essersi convertito al Cristianesimo. Il brano You Gotta Serve Somebody inizia con le parole: «Puoi essere un ambasciatore in Inghilterra o in Francia/ Puoi essere il campione del mondo dei pesi massimi/Ma devi servire qualcuno, questo è certo/ Può essere il Diavolo o può essere il Signore/Ma devi servire qualcuno». Dichiarò poi: «Ho sperimentato la nuova nascita.

Ero cosciente di un Dio creatore dell'Universo, ma non ero consapevole di Gesù né di ciò che aveva a che fare con il creatore supremo». Questa infatuazione religiosa lo portò a dischi controversi come Saved e Infidels, ma nella sua carriera - dai tempi di With God On Our Side - Dylan continuò a riempire brani con riferimenti biblici.

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