La contea di Zapata è una delle più piccole del Texas, sulle rive del Rio Grande. Al di là del fiume inizia il Messico. Tra i 12mila abitanti Donald Trump ha guadagnato circa il 10% dei voti rispetto al 2020. Lo stesso è accaduto nelle zone vicine, con il record della Contea di Webb dove il vincitore ha aumentato i consensi del 13%. Gli abitanti dell'area sono in larghissima maggioranza di origine messicana.
Proprio gli ispanici e gli elettori di colore sono il segreto della vittoria di Trump. Tra i votanti neri il risultato del tycoon ha assunto proporzioni che non è enfatico definire storiche: dal 1964 nessun candidato repubblicano si era aggiudicato tanti consensi nella comunità «black». Nei decenni più lontani in realtà i repubblicani, eredi del partito dell'abolizionista Abramo Lincoln, si aggiudicavano una larga fetta del voto nero. All'inizio degli anni Sessanta, e in particolare nel 1964, quando il Great Old Party presenta come candidato alla presidenza Barry Goldwater, contrario alla politica dei diritti civili, la cesura si fa profonda: da allora solo il 10% circa degli elettori di colore si dichiarava repubblicano.
Nel 2020 Trump si aggiudica il 12% del loro voto; questa volta, secondo i dati di Ap Votecast, i suoi consensi raddoppiano, fino a raggiungere quota 24%. Clamorosa la differenza con il comportamento elettorale delle donne di colore, che solo per il 9% depositano una scheda a favore del tycoon (anche se pure qui si registra un miglioramento, visto che nel 2020 si era fermato al 6). È la testimonianza di un «gender gap» che attraversa tutti i gruppi di popolazione e che gioca sempre a sfavore del neo-eletto presidente.
Naturalmente i dati vanno interpretati: Trump vince (vedi anche la tabella in basso) perché viene votato prima di tutto dal 59% dei bianchi (con un miglioramento di un punto rispetto al 2020). Ma anche tra le minoranze ormai gli elettori trumpiani crescono senza eccezioni. Tra i latinos gli aficionados repubblicani sono passati, per esempio, dal 38% del 2020 al 46% di quest'anno.
Alcuni analisti parlano di una tendenza ormai consolidata: la fine della «polarizzazione etnica». In pratica negli Stati Uniti non si vota più in base ai confini dettati dalla propria identità di provenienza, ma secondo le proprie convinzioni sociali e culturali. All'interno delle diverse comunità di latinos il fenomeno si svolge a velocità diverse: i più trumpiani di tutti sono cubani e dominicani; tra portoricani e messicani la crescita del voto repubblicano è più lenta. E il dato si può mettere in relazione con le polemiche che hanno coinvolto i comizi del neo-presidente (Portorico definito da un comico «un mucchio di rifiuti» e i messicani etichettati come «ladri e stupratori» sin dalla campagna del 2020).
Se l'identità etnica conta meno i candidati vengono valutati in base ad andamento dell'economia e valori culturali. E Trump alle minoranze (in larga misura appartenenti a un ceto sociale medio o medio-basso) piace per le stesse ragioni per cui piace ai «redneck» bianchi. Una delle motivazioni di voto di quest'anno, in base alle prime ricerche, è stata l'inflazione (i prezzi sono aumentati di circa il 20% rispetto al 2020). Piace anche il principio dell'America First, che si concretizza con la proposta di introdurre dazi all'import e con il progetto di sganciarsi dalle guerre e dagli impegni internazionali assunti dagli Stati Uniti all'estero.
Quanto alla candidata perdente il dato demografico che appare più interessante (e sotto certi aspetti sorprendente) è la capacità di attrarre il voto degli elettori di origine ebraica: secondo il National Election pool, istituto che per una serie di testate giornalistiche ha condotto rilevazioni in 10 stati, il 79% del voto ebraico è confluito su Kamala Harris.
Se esatta, la cifra corrisponderebbe alla percentuale di voto più bassa (21%) per un candidato repubblicano negli ultimi 24 anni.
Secondo un sondaggio di Fox News il voto ebraico per la Haris sarebbe solo al 67%. Una cifra più bassa che confermerebbe comunque un dato di fatto: la comunità israelitica statunitense, da sempre democratica, non ha cambiato posizione dopo il 7 ottobre e la guerra di Gaza.
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