La "normalità" ci costa molto cara. Prezzi in aumento per caffè, alimenti e parrucchieri

Il Codacons denuncia prezzi in crescita per i beni essenziali. La tazzina tocca anche i 2 euro, la frutta cresce dell'8,4 per cento e una piega fino a due terzi in più

La "normalità" ci costa molto cara. Prezzi in aumento per caffè, alimenti e parrucchieri

Pensavate di aver già pagato un conto molto alto al coronavirus in termini di mancanza di libertà, azzeramento della socialità, perdita del lavoro o del fatturato? Vi sbagliavate. C'è ancora qualche sovrapprezzo da pagare. In termini meno metaforici (il coronavirus, si sa, ci ha fatto diventare tutti poeti) ma molto concreto. Il Codacons parla di rincari fino al 25 per cento per un taglio o una messa in poega dal parrucchiere e del 53,8 per cento per il caffè. No grazie, il caffè ci rende nervosi.

In realtà un po' c'era da aspettarselo. I commercianti e gli esercenti, dopo mesi di mancati incassi, con le spese vive dovute alle nuove incombenze sanitarie e con un mercato che comunque nei prossimi mesi si prospetta asfittico, in molti casi hanno deciso di prendersi qualche ammortizzatore sociale da soli. Ritoccando al rialzo le proprie tariffe. Chi scrive non ha mai creduto alla favola dei commercianti che avrebbero abbassato i prezzi per attirare i clienti della «nuova normalità» perché nella guerra tra poveri ognuno usa le armi che può. Benvenuti nell'Italia del tutti contro tutti.

Nel caso del caffè l'aumento della tazzina è particolarmente odioso non tanto per l'ammontare della «Covid-tax» (20 o 30 centesimi non cambiano la vita a nessuno) quanto per l'aspetto psicologico. Il caffè infatti in Italia è considerato una commodity, un bene basico che segue una profilazione dei prezzi puramente geografica: al Nord più caro, al Sud più economico, al netto di qualche eccezione relativa solo a caffè storici o ai cosiddetti specialty coffee con una proposta più sofisticata. Attentare a questo «prezzo politico» è uno sgarbo alla nostra ritrovata quotidianità, quasi minare un nostro diritto civico, quello all'espresso quotidiano. Eppure accade proprio questo. «Stiamo ricevendo decine di segnalazioni sugli incrementi dei listini spiega il Codacons . In testa alla classifica dei rincari ci sono i bar, con molti esercenti che hanno ritoccato al rialzo il prezzo di caffè e cappuccino: al centro di Milano, dove il prezzo medio di un espresso è 1,30 euro, si arriva fino a 2 euro (+53,8 per cento). A Roma (1,10) fino a 1,5 euro (+36,3 per cento). A Firenze (1,40) fino a 1,70 euro (+21,5 per cento)». E visto che a giudizio di chi scrive, che di caffè è esperto, i prezzi base nelle varie città sono sovradimensionati, gli aumenti reali sono anche maggiori.

Costa di più anche «rifarsi» la testa. «I parrucchieri - segnala ancora il Codacons - in base alle segnalazioni, hanno aumentato i listini, con rincari per shampoo, messa in piega, taglio, e altri trattamenti. In base ai costi medi nelle grandi città, il prezzo di un taglio passa da una media 20 a 25 euro (+25 per cento), ma con punte che arrivano al +66. Secondo una segnalazione a Milano il taglio donna in un salone è passato da 15 a 25 euro».

E il cibo? Era rincarato già nella Fase 0. Secondo l'Istat nel mese di aprile i generi alimentari sono diventati più cari del 2,8 per cento e il Codacons stima un salasso da 536 euro annui a famiglia, famiglia peraltro già probabilmente impoverita. Secondo Coldiretti in un report di qualche giorno fa sempre basata sui dati Istat a crescere di più è la frutta (+8,4 per cento), la verdura (+5), il latte (+4,1), la pasta (+3,4) e i salumi (+3,4). Alla fine l'unica cosa a essere più economica è la benzina, che secondo i dati Mise costa 1,357 euro al litro (1,247 il gasolio) anche se alla fine su un pieno di 50 litri si risparmiano appena 26 centesimi. Insomma, a fare il pieno all'auto e a prendersi un caffè si fa pari e patta.

Un far west. Che si riflette anche sulle riaperture a singhiozzo dei locali. Non tutti infatti hanno ancora approfittato della libertà di serranda scattato lunedì. Secondo i dati di Confcommercio relativi alle circa 800mila imprese del commercio e dei servizi di mercato, il 90 per cento dei negozi di abbigliamento ha riaperto e con una risposta da parte del cliente incoraggiante. Ma è chiaro che fare shopping con le nuove regole è più facile che andare a cena.

E infatti se ci si sposta sui pubblici esercizi si scopre che, secondo i dati Fipe, «solo» il 70 per cento dei bar e dei ristoranti ha ripreso l'attività, e inoltre lasciando a casa il 40 per cento dei dipendenti. Questo conferma che, al netto della voglia di normalità, sarà questo nei prossimi mesi il settore più colpito dalla crisi da Covid.

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