Ho deciso di intervenire sulla questione del matrimonio di Michela Murgia perché ne hanno parlato tutti e nessuno ha detto quello che sto per scrivere, tanto vale lo faccia io. Anzitutto, la sua dichiarazione: «Lorenzo e io ci siamo sposati civilmente. Lo abbiamo fatto in articulo mortis perché ogni giorno c'è una complicazione fisica diversa, entro ed esco dall'ospedale e ormai non diamo più niente per scontato. Mi sono sposata controvoglia perché il rituale che avremmo voluto non esiste ancora. Ma esisterà e vogliamo contribuire a farlo nascere. Tra qualche giorno, nel giardino della nostra casa ancora in trasloco, realizzeremo la nostra idea di celebrazione della famiglia queer». Su questo ho rispetto per la battaglia politica, e anzi è una delle poche volte che sono d'accordo con lei, pur non essendo informato esattamente sul suo tipo di famiglia queer. Ma concordo che una famiglia, per quanto mi riguarda, sono le persone che ami, e io stesso non sono sposato pur avendo notoriamente, da decenni, un compagno, una compagna e una figlia (la figlia l'ho fatta con la mia compagna, non abbiamo affittato uteri). Il mio principio minimo è individualista: la mia libertà finisce dove inizia quella altrui.
La Murgia dichiara di essersi voluta sposare per farne un simbolo, altrimenti il suo ormai marito non avrebbe potuto assisterla nelle cure (non essendoci altre forme di matrimonio), e questo mi sembra un punto cruciale del liberalismo.
Una come la Murgia però non va scambiata per una liberale. È cattolica, ma vorrebbe che il cattolicesimo si adattasse a lei e non viceversa. È antifascista ma non anticomunista, e al contempo paladina del fascismo della cancel culture (di cui sarei rimasto vittima io stesso, se fossimo vissuti in Murgiopoli anziché in Italia, quando organizzò un boicottaggio affinché nessuno pubblicasse più i miei libri). Oltre a me cancellerebbe tutta la storia dell'arte e della letteratura e della libertà di parola. Ovunque vede sessismo, tranne il suo. Come la sua amica Chiara Valerio, o Chiara Tagliaferri, moglie di Lagioia, le quali esercitano le proprie forme di lagna e amichettismo (copyright Fulvio Abbate) presenziando in ogni contesto culturale. Se sei un maschio bianco eterosessuale sei un pezzo di merda. Non esagero. Più dei suoi libri sono note le sue uscite pubbliche, come: «Nascere maschi in un sistema patriarcale e maschilista è un po' come essere figli maschi di un boss mafioso». Però se incontra una donna islamica si mette il chador pure lei, per rispetto delle culture (ditemi voi se anche quella islamica non è una cultura patriarcale, e di quelle dove, in molti paesi, donne adultere e omosessuali vengono lapidate o impiccate).
Tant'è che Berlusconi fu sbranato quando dichiarò che la cultura occidentale è superiore alle altre culture (culturalmente parlando non c'è dubbio, la stessa Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo è un prodotto dell'Occidente), mentre la Murgia ha organizzato la solita marcia della pace contro le armi in salsa antiamericana. Modello Schlein: siamo contro la guerra, come se ci fosse chi è a favore.
Tuttavia il punto, tornando al matrimonio, «strumento del patriarcato», è farne un simbolo farlocco: che ci si possa sposare in tre, in quattro, in cinque, in dieci non esiste in nessuna parte del mondo. Cosa che anche a me piacerebbe, un giorno si potrà, ma messa così è una messa con un'omelia incomprensibile.
Diverso il caso di chi si espone per aver diritto a decidere del proprio fine vita. Di solito accompagnato dall'eroico e straordinario Marco Cappato (altro che Murgia), che regolarmente finisce in tribunale, non a presentare i propri libri dalla Gruber facendo sempre la vittima.
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