La "nuova" Hamas: leader a Doha, armi a Gaza

Gli estremisti si riorganizzano con un equilibrio precario tra le due anime

La "nuova" Hamas: leader a Doha, armi a Gaza
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«Gaza risorgerà per ricostruire ciò che l'occupazione ha distrutto e continuerà sulla strada della fermezza finché l'occupazione non sarà sconfitta». Eccolo il messaggio di Hamas all'indomani dello primo step dell'accordo di tregua con Israele, che le cancellerie del G7 hanno già iniziato a decrittare con preoccupazione. Finora l'occidente aveva infatti potuto contare sull'individuazione del cattivo di turno nella Striscia, affibbiando nomignoli come «macellaio» ai comandanti militari come il defunto Yahya Sinwar ucciso lo scorso ottobre, e supportando Tel Aviv nel repulisti di chi, sul campo, dava ordini alle brigate lanciarazzi abituate a dormire con il kalashinikov. Si è però subito diffuso il sospetto che la tregua non sia solo una bella notizia. Ma un enigma e potenzialmente un boomerang, perché obbliga a ipotizzare il ridimensionamento dello iato registrato fino a poche settimane fa tra l'ala politica esule in Qatar e il braccio militare di Hamas, e perfino una saldatura tra le due anime più forte di quella pre 7 ottobre 2023.

Proprio sulle tante teste dell'idra ha fatto spesso leva l'occidente (e talvolta anche Israele o i suoi interlocutori arabi impegnati nella mediazione indiretta) per acuire le divisioni del movimento, prendendo ciò che di buono aveva da offrire l'ala politica di Hamas, soprassedendo per anni su spostamenti dei leader residenti in alberghi a 5 stelle a Doha in nome di una disponibilità a trattare in caso di necessità. Quella distanza si è asciugata col successo della tregua. Un connubio da incubo, stando a quanto raccolto dagli 007 che da giorni provano a rispondere alla domanda: chi comanda a Gaza?

Stando a quanto emerso nelle ultime 48 ore, dal Qatar si continuerà a inviare soldi ai miliziani. Si profila una coabitazione tra «Stato» e Corano, ministeri e kalashnikov, polizia ufficiale e brigate resistenti. Il vice ministro degli interni di Hamas, Mahmoud Abu Watfah, ha elogiato la polizia armata, alcuni in mimetica e altri vestiti di nero, prima che pattugliassero le strade di Gaza City; altro indizio di nozze tra le due anime. L'organizzazione si è pure congratulata con la popolazione della Striscia per aver sopportato 471 giorni di guerra, con una promessa: «Rinnoviamo il nostro impegno di fedeltà ai nostri prigionieri per liberare la nostra terra e i nostri luoghi santi e sconfiggere l'occupazione fascista». Poi la rivendicazione di un consenso intatto: «Le scene di gioia del nostro popolo nell'accoglienza dei prigionieri confermano il sostegno pubblico alla resistenza».

Non sfugge gli occhi di un occidente troppo ottimista (portare l'Anp a Gaza e scalzare Hamas) che ogni attore, regionale e non solo, sta già giocando la sua partita. I nuovi leader di Hamas la loro. In calo il ruolo del fratello minore di Yahya Sinwar, Mohammed, «Ombra» nei tunnel di Gaza e bersaglio della ricerca negli ultimi raid. Il nuovo plenipotenziario è forse Khalil al Hayya, l'alto dirigente sopravvissuto a un bombardamento aereo israeliano nel 2007 a est di Gaza (dove morirono 7 suoi familiari dopo aver orchestrato l'accordo con Fatah per la fine del conflitto). Lui ha partecipato alla mediazione in Qatar per lo scambio di ostaggi con Israele. Lui, da esule, è riuscito a trovare un equilibrio che nel movimento mancava da tempo.

E se dopo la morte di Sinwar era stato nominato un comitato di 5 chiamato a gestire la transizione di Hamas, ora è tornata a mostrare muscoli e compattezza; spaventando refrattari civili con armi e passamontagna nella Striscia, con però un volto «moderato» ai tavoli di trattativa.

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