Nello Stretto che separa (e unisce) Reggio Calabria e Messina c'è un fenomeno chiamato Fata Morgana, un effetto ottico che rende le due sponde apparentemente più vicine. Secondo una tradizione medievale il primo a cadere nell'incantesimo fu un re barbaro: convinto che la Sicilia fosse vicinissima si gettò in acqua ma morì annegato.
Oggi è il Ponte sullo Stretto, che The Independent definì Italy's bridge to nowhere (il Ponte sul nulla), ad apparire ancora più vicino. È da sempre il sogno di Silvio Berlusconi, il centrodestra dice di volerlo realizzare sin dal 2001. Nel 2005 la Impregilo vinse la gara come general contractor ma con il centrosinistra il progetto finì in un cassetto e nel 2011 l'Unione europea lo escluse dalle priorità da finanziare.
Oggi è nel programma della maggioranza che ha vinto le elezioni, persino l'ex sottosegretario siciliano alle Infrastrutture Giancarlo Cancelleri è favorevole, visto che potrebbe creare fino a cento mila posti di lavoro, magari seguendo il virtuoso esempio del «modello Genova». L'europarlamentare dei Verdi Piernicola Pedicini ha ammesso la necessità di «affrontare con tutti i crismi e la serietà questo straordinario progetto che per troppi anni è rimasto fermo ai soli slogan». «Ci sono tutti i presupposti irripetibili perché si faccia», dice oggi il neo governatore della Sicilia Renato Schifani, a cui fa eco il collega calabrese di Forza Italia Roberto Occhiuto: «Sicilia e Calabria vogliono essere l'hub dell'Europa sul Mediterraneo, un'area strategica sempre più importante a livello globale. Il Ponte sullo Stretto è un tassello chiave per perseguire l'obiettivo. Ne ho già parlato con il presidente Schifani, e ci faremo portavoce con il nuovo presidente del Consiglio affinché questa grande opera rientri nell'agenda delle priorità del governo nazionale». La vicinanza al Porto di Gioia Tauro, su cui Occhiuto ha una serie di progetti («è diventato in pochi anni il porto con più traffico merci d'Italia», sottolinea il governatore calabrese) lo rendono di fatto indispensabile. D'altronde, le infrastrutture al Sud sono l'unica alternativa vera al reddito di cittadinanza per evitare l'eutanasia del Mezzogiorno, innescata dalla «morfina» M5s che tanti consensi ha portato a Giuseppe Conte. «Bisogna aiutare il Sud a favorire la competitività di tutte le imprese», insiste l'azzurro Antonio Tajani.
E allora che fare? C'è un progetto a campata unica che secondo il governo di Mario Draghi «non è più attuale», tanto che il Parlamento aveva dato mandato a Rete ferroviaria italiana di rifare uno studio di fattibilità tecnico-economica che prevederebbe un Ponte a più campate, mentre per alcune opere ferroviarie dello Stretto sono stati già stanziati 510 milioni di euro grazie al Pnrr. C'è chi scrive che grazie a nuove tecnologie e materiali basterebbero due miliardi di euro in tre anni. Soldi che Webuild si è detta pronta a finanziare in gran parte.
Sulla reale fattibilità c'è anche uno scontro che dura da decenni. Negli anni Sessanta una delegazione giapponese si offrì di costruire il Ponte ma non se ne fece nulla, negli anni Novanta un'altra delegazione nipponica disse che costruirlo invece era impossibile, per via del vento, delle correnti e della faglia sismica su cui insiste. Ipotesi che convince gran parte del mondo scientifico. Chi ha ragione? Infine c'è il tema, non da poco, delle ppossibili infiltrazioni della criminalità organizzata. Qualche anno fa al Giornale un investigatore della Dia disse: «Se vogliono entrare nel business devono venire allo scoperto, e a quel punto ci penseremmo noi».
«Ma la 'ndrangheta è a Milano, e allora? Si ferma tutto?», ribatte il massmediologo Klaus Davi: «Uno Stato che si arrende alla mafia, anziché mandare un messaggio all'Europa sul Sud che ce la può fare, non sarebbe uno Stato». Sarebbe un altro miraggio della Fata Morgana.
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