Dalla conferenza di Monaco di Baviera emergono due elementi. Entrambi solidissimi e chiari. Il primo, è che Europa e Occidente sono compatti come non mai nel sostenere l'Ucraina. Il secondo, è che la guerra è destinata a durare ancora a lungo e che ogni tentativo di imbastire qualsiasi ipotesi di dialogo è, al momento, pressoché nulla. Certezze perfettamente complementari. Non proprio notizie per cui festeggiare ma, quantomeno, sufficienti per limitare i danni nell'immediato e porre le basi per qualcosa di migliore nel futuro. Perché come spiega il segretario generale della Nato Stoltenberg «l'unico vero pericolo è la vittoria della Russia e di Putin». In realtà anche lui è perfettamente consapevole di quanto il rischio di una escalation sia reale e concreto ma di fatto il livello si è già innalzato da tempo, da quando cioè l'asse europeo e la Nato hanno ritrovato unità nello stabilire, fuori da ogni dubbio, chi sia il «buono» e chi sia il «cattivo», chi sia l'«aggressore» e chi la «vittima» e abbia quindi deciso di comportarsi di conseguenza. Con la consapevolezza che non si poteva fare diversamente.
«Dobbiamo mantenere e aumentare il sostegno all'Ucraina perché possa vincere. Putin non sta pianificando la pace, ma nuove offensive», ribadisce Stoltengberg, al di là del fatto che «non ci sono opzioni prive di rischi». Eppure l'unica strada possibile è quella di sostenere la resistenza ucraina. E per farlo c'è una strada sola, piaccia o no ai pacifinti che invocano una pace fittizia che sarebbe nient'altro che una resa. «Dobbiamo raddoppiare il supporto militare in modo che le mire imperialistiche della Russia falliscano e che l'Ucraina vinca», ha spiegato a nome della UE Ursula von der Leyen, puntando sul «modello pandemia» per fornire, dopo i vaccini, aiuti militari. «Possiamo raggruppare l'industria militare europea. Per noi è il titolo è nulla sull'Ucraina senza l'Ucraina. Sono loro a decidere quando e come sedersi a un tavolo di negoziati» ha ribadito. «È ora il momento per raddoppiare il supporto militare all'Ucraina», ha ribadito il premier britannico Rishi Sunak ipotizzando anche una «nuova architettura di sicurezza per impedire altre aggressioni della Russia in futuro». Armi per resistere unica strada percorribile quindi, con il ministro degli Esteri ucraino Kuleba che forte del sostegno unanime rilancia: «L'Ucraina riceverà dagli alleati i jet da combattimento, è solo questione di tempo e di procedura», ha detto. «Ci vorrà più tempo che per i carri armati, lo capiamo, ma proprio la logica, il senso di come evolve la situazione, porterà tutti noi alla decisione sugli aerei. Abbiate fiducia in noi, siate con noi e vinceremo. Dicevano che non avremmo resistito per più di 48 ore... Non c'è niente di impossibile».
Non sarà facile però scalfire i dubbi di chi tra i partner Nato sostiene che l'invio dei caccia a Kiev costituisca un rischio troppo grande, anche se c'è chi, pure per un interesse personale, non ha dubbi. «Possiamo parlare di un trasferimento dei nostri MiG come parte di una coalizione allargata con gli Usa come leader e siamo pronti per questo» ha detto il premier polacco Mateusz Morawiecki, il primo a spezzare il fronte dei dubbiosi sui tank che ora ci riprova coi jet. D'altra parte, Polonia, Estonia e altri Paesi di confine, temono che la possibile escalation possa significare altre operazioni invasive dei russi. Un pensiero pericoloso, in ogni caso difficile da realizzare per Mosca. Vuoi per le difficoltà incontrate sul campo, con uomini e mezzi non esattamente di primo livello al fronte, vuoi per la sintesi esposta dal ministro degli Esteri tedesco Annalena Baerbock: «Non è un conflitto soltanto europeo, ma ha conseguenze per tutto il mondo che è divenuto più insicuro e ha scosso l'ordine internazionale - ha detto - queste sono le bombe e i razzi che Putin ha lanciato anche contro altri Paesi, lontani dall'Europa, lontani dall'Ucraina».
Un'unità che non si vedeva da tempo, forse da mai. Tutti contro Putin e Putin contro tutti. In una guerra vera, rischiosa, ma anche di logoramento. Che sarà lunga, certo, ma in cui l'Occidente non può far da spettatore.
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