Il più bello e il più brutto giorno di una vita possono essere lo stesso giorno. Una fredda domenica australiana. Talmente lunga da riuscire a contenere la gioia di essere l'eroina nazionale e l'infelicità vertiginosa di perdere il papà.
Il destino sa giocare tiri mancini più forti e precisi di quello con cui Olga Carmona Garcia ha steso l'Inghilterra nella finale del mondiale di calcio femminile che si è svolta a Sydney, domenica scorsa, consegnando il trionfo alla Spagna, il primo della sua storia. E dopo i festeggiamenti Olga ha saputo che il papà venerdì era morto al termine di una lunga malattia.
Come possono ventitré anni e cinquanta chili scarsi di muscoli, cuore e poco altro reggere tutte queste emozioni? Lei, Olga, non riesce a non vedere un disegno celeste in tutto questo - ma chi non lo vedrebbe? «E senza saperlo - scrive ieri su X l'attaccante sivigliana - avevo la mia stella già prima che iniziasse la partita. Ora so che cosa mi ha dato la forza di raggiungere qualcosa di unico. So che mi hai visto questa notte e che sei orgoglioso di me. Riposa in pace, papà».
Il papà di Olga, e del fratello Fran Carmona, difensore del Teruel, di un anno più grande, era malato da tempo. Ma certo quando Olga è partita per gli antipodi per la spedizione mondiale non pensava che non l'avrebbe mai più visto. E questo pensiero non la sfiorava nemmeno domenica pomeriggio, quando negli spogliatoi aveva indossato una maglia sotto quella roja ufficiale, da esibire nel caso avesse fatto un gol: c'era scritto «Merchi», il nome della madre di una sua amica, morta qualche giorno prima. E quando al minuto ventinove del primo tempo Olga ha messo nell'angolino quel tracciante decisivo, quando si è messa a correre felice per il campo mostrando quell'omaggio generoso al dolore altrui, in molti avevano ricordato Andrés Iniesta nella finale dei mondiali sudafricani nel 2010, che aveva dedicato il gol ugualmente decisivo nella finale contro i Paesi Bassi a Dani Jarque, un calciatore e amico morto qualche mese prima. E sì, il grande centrocampista aveva dovuto affrontare una scarnificante depressione per quella perdita, ma Olga che pettina il dolore di un'amica senza sapere del proprio? Un gioco di specchi da romanzo, non fosse questa la materia di cui è fatta la vita.
Attorno alla calciatrice del Real Madrid si sono stretti tutti, nelle ore successive. La madre e uno dei fratelli che erano volati in Australia su un volo messo a disposizione dalla federazione spagnola, e che avevano deciso con la federazione di non turbare la ragazza prima del suo giorno più grande con la brutta notizia, che l'unica cosa buona della morte è che cancella ogni fretta. E la federazione, e le compagne e tutto il mondo commosso da una storia che se l'avesse scritta uno sceneggiatore lo avremmo accusato di avere usato degli effettacci strappalacrime.
Olga da bambina voleva fare la calciatrice. Giocava mischiandosi ai maschietti perché nel quartiere di Siviglia in cui cresceva, Nerviòn, una squadra femminile non c'era. E la madre, poi, voleva diventasse una tennista o una ballerina di flamenco.
Ma lei no, sapeva che un giorno avrebbe segnato il gol più bello. A un certo punto di questo mondiale, poi, aveva anche perso il posto in squadra ed era finita in panchina. Ma il destino aveva altri programmi e li ha realizzati. Segna ancora tanti gol, campionessa.
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