Ombre sullo Zar: il Cremlino teme l'effetto contagio dalla Bielorussia

Le "rivoluzioni arancioni" sono un pericolo per Mosca. E certi omicidi sono messaggi

Ombre sullo Zar: il Cremlino teme l'effetto contagio dalla Bielorussia

Aleksei Navalny è certamente l'oppositore politico più temuto da Vladimir Putin, il quale però ha cura di non nominarlo mai. A differenza dei partiti che il presidente russo tollera per offrire all'opinione pubblica interna e mondiale la parvenza di una democrazia, il movimento Coalizione democratica fondato dall'agguerrito avvocato e blogger insieme con l'ex vicepremier Boris Nemtsov (assassinato «misteriosamente» nel 2015) non si limita ad abbaiare: morde. Le inchieste condotte dagli attivisti coordinati da Navalny non danno tregua al gruppo di potere che orbita attorno a Putin e ne denunciano lo straordinario livello di corruzione. Navalny dà realmente fastidio, ha un coraggio fuori dal comune ed è l'unico in grado di catalizzare il crescente malcontento, soprattutto giovanile, verso il regime ventennale dello «Zar» Vladimir.

Per evitarne la concorrenza politica, Putin non trucca le elezioni: semplicemente fa in modo, con le motivazioni più varie e fantasiose, che Navalny non possa mai parteciparvi. In pubblico lo ignora ostentatamente per non fargli pubblicità, ma fa perseguitare i suoi collaboratori, facendo spesso compiere brutali irruzioni poliziesche nelle sedi del suo movimento, arrestando i suoi attivisti e spedendoli quando è possibile a svolgere il servizio militare in luoghi inospitali dell'Artico.

Prima di ieri, Navalny aveva già subito un paio di tentativi di avvelenamento e un numero ormai incalcolabile di arresti seguiti da brevi periodi di detenzione, solitamente per «manifestazioni non autorizzate»: e ovviamente non è un caso che le richieste di spazi per dimostrazioni della Coalizione democratica vengano quasi sempre respinte. Oggi che l'unico valido avversario politico di Putin rimasto in circolazione lotta per la vita in un ospedale siberiano, torna a riproporsi l'ozioso interrogativo su chi sia stato il mandante del suo tentativo di omicidio. Ozioso perché i componenti della lunghissima lista di oppositori e critici del sistema assassinati in Russia da quando Putin è al potere avevano in comune un punto: denunciavano la natura criminale del regime ed erano impegnati per abbatterlo. Davvero si può ritenere seriamente che la giornalista Anna Politkovskaja, l'ex membro dei servizi segreti Alexander Litvinenko, l'oligarca già complice e poi acerrimo rivale di Putin Boris Berezovsky, l'ex premier e politico liberale Boris Nemtsov, il fondatore dell'emittente di propaganda Russia Today in procinto di raccontare i segreti di Putin agli 007 americani Mikhail Lesin, l'ex collaboratore di Berezovsky e di Litvinenko Nikolai Glushkov (ma la lista potrebbe riempire una pagina intera) siano stati uccisi da qualche provocatore misterioso che intendeva mettere in cattiva luce il presidente russo?

Chi mai poteva avere interesse a colpire Aleksei Navalny proprio nel momento in cui in Bielorussia l'opposizione democratica, sostenuta dall'Occidente, sta mettendo con le spalle al muro il dittatore Aleksandr Lukashenko? Due cose è il caso di ricordare su Putin. La prima è che ha una paura nera delle cosiddette rivoluzioni arancioni, come vengono etichettate per screditarle le rivolte popolari contro i regimi autoritari postsovietici: sa benissimo che dopo Lukashenko può toccare a lui.

La seconda è che non ragiona con parametri occidentali e non teme il discredito derivante da un omicidio eccellente. Al contrario, nel mondo in cui si muove vige la legge del più forte e il messaggio inviato colpendo Navalny è preciso: quando è questione di vita o di morte io non scherzo.

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