Ora Mosca sfonda le difese nel Lugansk. "Cittadinanza russa nelle zone occupate"

Un tempo era la piazza principale della città, ora è un anfiteatro di guerra. Tutt'intorno gira la quinta dei palazzi anneriti e sfondati da missili e colpi di artiglieria

Ora Mosca sfonda le difese nel Lugansk. "Cittadinanza russa nelle zone occupate"

Un tempo era la piazza principale della città, ora è un anfiteatro di guerra. Tutt'intorno gira la quinta dei palazzi anneriti e sfondati da missili e colpi di artiglieria. Addossati alle macerie riposano, come tori in attesa della carica, blindati e carri russi. All'entrata di cantine e seminterrati un miscuglio di pallide facce slave e barboni ceceni si gode un turno di riposo. Altri, appena usciti dall'intrico di rovine trasformati in alloggi di fortuna, imbracciano il kalashnikov e si stringono al petto giubbotto anti proiettile e giberne mentre corrono verso il cingolato pronto a scaricarli in prima linea. Rasoterra, sotto la collinetta, incrociano, come fragorose libellule, due elicotteri Mi 28 a doppia elica. Nel cielo sibilano le salve dei missili Grad diretti verso le posizioni ucraine davanti a Severodonetsk. «Poche ore e sarà finita», ridacchia un ceceno.

Vista da qui sembrerebbe così. Solo tre giorni fa sulla piazza di Popashne cadevano ancora le katyushe ucraine. Oggi non arriva più nulla, segno che le posizione di Kiev sono ormai a più di venti chilometri. Ma basta avanzare verso nord per scoprire un'artiglieria ancora attiva e, a tratti, martellante. Non a caso i ceceni incaricati di accompagnarci sulle linee di Kamishevaha, sul lato est di Severodonetsk, ricevono ordine di fare dietro front. «Gli ucraini si sono già ritirati, ma nella boscaglia retrostante al villaggio sono nascosti i Bm 21. E sparano a tutta forza per proteggere la ritirata dei loro soldati. Meglio tornare indietro». In effetti una colonna di blindati con la croce rossa del trasporto feriti ci incrocia in senso opposto, diretta verso l'ospedale da campo di Popashna. Nel nostro senso muovono invece camion carichi di munizioni e soldati, segno inequivocabile di un'offensiva destinata ad intensificarsi nelle prossime ore. A favorire gli sforzi congiunti di russi, ceceni e indipendentisti di Lugansk contribuiscono lo scoramento e il morale a terra dei soldati di Kiev.

Per la prima volta in tre mesi di guerra le unità ucraine sembrano aver dimenticato la determinazione sfoderata a Mariupol e sul fronte settentrionale. Per capirlo basta l'intreccio di appelli e messaggi comparsi su internet con cui gli ufficiali incaricati della difesa di Severodonetsk e della vicina Lysichansk implorano Zelensky e il resto del governo di risparmiar loro un inutile sacrificio. Tutto inizia due giorni fa quando un ufficiale della 14ma brigata posta la foto di una ventina dei suoi uomini e un'esplicita ammissione. «Eravamo in cento, ora siamo solo questi, non posso più difendere la posizione». Ad implorare un ritiro immediato s'aggiunge, ore dopo, un comandante della 115ma. Un collega della 56ma è ancor più esplicito. «Non usateci come carne da cannone tenere queste posizioni non è più possibile».

Messaggi senza precedenti che evidenziano la scollatura con un governo di Kiev pronto a esigere un sacrificio di soldati e civili simile a quello imposto a Mariupol. Un sacrificio reso praticamente certo dall'interruzione dell'arteria Lysychansk-Bakhmut su cui passavano rifornimenti e rinforzi. Insomma entro questa mattina la sacca potrebbe essersi già chiusa condannando alla prigionia o ad una disperata, quanto inutile, resistenza i 20mila soldati ucraini abbandonati a se stessi nelle trincee di Severodonetsk e Lysichank. Il tutto per l'entusiasmo di un Cremlino che per la prima volta vede a portata di mano uno degli obbiettivi enunciati il 24 febbraio scorso. La caduta di Severodonetsk e Lysichank completerebbe di fatto la conquista di quel 30 per cento dei territori dell'Oblast di Luhansk che 90 giorni fa era ancora nelle mani di Kiev. E lo stesso potrebbe avvenire nelle prossime settimane in quel di Donetsk dove l'offensiva prosegue più lentamente. Il tutto nella prospettiva di un'imminente unità territoriale tra la Crimea e le regioni di Kherson e Zaporizhia destinata ad estendersi, attraverso il corridoio di Mariupol, fino ai territori di Donetsk e Lugansk e della Federazione Russa. Un progetto reso ancor più concreto dal decreto, firmato ieri da Vladimir Putin, che semplifica e velocizza il riconoscimento della cittadinanza russa agli abitanti di Kherson e Zaporizhia.

I cittadini ucraini di quelle zone godranno, insomma, delle stesse facilitazioni garantite agli abitanti delle repubbliche di Lugansk e Donetsk. Come dire che per il Cremlino è già tutta Russia. E indietro non si torna.

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