Ora Parisi rompe gli indugi «Saremo noi a governare»

L'ex dg di Confindustria lancia la sfida a Salvini: «Non siamo quella roba lì. Vogliamo soluzioni, non slogan»

Ora Parisi rompe gli indugi «Saremo noi a governare»

È un «grande giorno», una «grande svolta». Compie 60 anni Stefano Parisi, al termine del Megawatt al Grande teatro Geox gli presentano una torta gigante. Ed è il giorno in cui l'uomo nuovo del centrodestra rompe gli indugi e si candida alla guida del Paese. Sente l'appoggio di Silvio Berlusconi, che gli manda una lettera affettuosa e gli telefona per complimentarsi, e avverte l'urgenza del momento in cui l'onda della vittoria di Trump s'infrange sui moderati: «Dopo il referendum si chiarirà il quadro politico e saremo noi a governare l'Italia».

È pure il giorno di un'altra autocandidatura nel centrodestra. E allora Parisi sfodera le unghie che molti gli hanno rimproverato di non avere. «Lo dico a quelli che oggi si trovano a Firenze: non si fermano flussi migratori con le ruspe e sgonfiando i gommoni. Vogliamo soluzioni, non slogan. Non possiamo stare fermi davanti al ping pong tra Grillo e Renzi. Dobbiamo ricostruire la nostra offerta politica. Ringrazio davvero Silvio Berlusconi: noi non siamo la cosa che c'è a Firenze nel pomeriggio, siamo popolari e liberali». Ma assieme alla faccia cattiva Parisi mostra anche una mano tesa: «Sono chiaro e anche duro con gli amici della Lega. Preferisco litigare adesso e poi fare accordi veri su un programma serio. L'unità dura nel tempo se c'è una discussione chiara e un accordo forte sul programma».

Parisi parla a lungo e di tutto. Si meraviglia di Confindustria che in cambio del Sì s'accontenta di riforme finte. Attacca frontalmente Matteo Renzi per aver raccontato «una storia non vera» su scuola, lavoro, economia, semplificazione. «Doveva cambiare verso ma non è cambiato nulla. Il premier ha soltanto cercato di conquistare con i bonus quel consenso che non ha avuto dalle urne. La politica del breve respiro ha distrutto l'Italia. La sinistra non capisce che cosa succede, parla di diritti individuali, battaglie di bandiera senza vedere le persone che quei diritti non li vedono realizzati».

Una parola si ripete: responsabilità. «Abbiamo un presidente del Consiglio che distribuisce colpe alla Merkel, all'Europa, all'America, a D'Alema, ma non si prende le sue. Ci prende in giro concentrando il dibattito sul referendum ma distogliendo colpevolmente l'attenzione dai veri problemi dell'Italia, la crescita, la povertà, le ingiustizie sociali, la pressione migratoria». Il No al referendum è chiaro: «Non ci possiamo permettere ulteriore instabilità istituzionale». Come negli altri eventi della campagna Megawatt, i rappresentanti del territorio presentano a Parisi le loro istanze: regionalismo, scuola, lavoro, digitalizzazione.

L'ex dg di Confindustria risponde elencando il programma: meno tasse, semplificazione burocratica, stabilità, concorrenza tra pubblico e privato. «Ci siamo. Vogliamo veramente rifare il Paese». Parisi se la prende con i leader del centrodestra «eletti solo per aver fatto anticamera davanti all'ufficio di Berlusconi, che si chiudono in una sala a parlare tra di loro. Mi dispiace che non siano qui ad ascoltare cosa dice la gente.

Caro presidente Berlusconi, bisogna anche scegliere la gente giusta. Ho vissuto la prima repubblica e la qualità politica di allora non esiste più. E chi fa politica per arricchirsi se ne deve andare. Non possiamo più tollerare di avere corrotti tra noi». E per Parisi è tifo da stadio.

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