Rimuovere il governo di Kiev eletto democraticamente, per instaurare un regime fantoccio provvisorio in Ucraina. Vladimir Putin corre a passo veloce e in maniera esplicita verso il primo traguardo della sua offensiva militare. E mentre le truppe russe entrano nella capitale ucraina, i missili cadono su Kiev e i carri armati assediano la città, il presidente russo esplicitamente ribattezzato «dittatore» dalle cancellerie occidentali (Londra e Parigi), il leader che «si comporta come un nazista» (Commissione europea) adesso invita l'esercito ucraino al colpo di Stato. «Prendete il potere nelle vostre mani - dice il capo del Cremlino, rivolgendosi direttamente alle forze armate di Kiev in un discorso trasmesso in tv - Sarà più facile negoziare con voi, piuttosto che con questa banda di drogati e neonazisti che si è stabilita a Kiev e ha preso l'intero popolo ucraino in ostaggio», spiega Putin con il volto livido.
È un appello al golpe, una richiesta ai militari e alle alte gerarchie dell'esercito di Kiev a destituire il presidente Volodymyr Zelensky e i suoi collaboratori, ovviamente con un salvacondotto, perché Mosca - sostiene Putin - non sta combattendo contro le unità dell'esercito ucraino ma contro formazioni nazionaliste che si comportano «come terroristi» e usano i civili «come scudi umani». Sono dichiarazioni che condensano tutta la volontà del Cremlino di umiliare l'Ucraina.
«Vediamoci a Minsk» aveva proposto il leader del Cremlino poco prima di invitare al golpe, lasciando un filo di speranza alla tregua e indicando come sede dei possibili negoziati la capitale della Bielorussia in cui siede l'altro «dittatore» Alexandr Lukashenko, ormai al servizio di Mosca. Putin «è pronto a inviare» a Minsk una delegazione di rappresentanti «per negoziati con una delegazione ucraina», spiegavano da Mosca. Ma lo Zar ha precisato poco dopo, e più in dettaglio, i suoi piani, con l'invito al colpo di Stato. Meglio sedersi al tavolo con i militari che con Zelensky. E niente tregua, nel frattempo. La guerra continuerà il suo corso. «Eventuali negoziati tra Mosca e Kiev non bloccheranno l'operazione militare» lanciata dal presidente Putin contro l'Ucraina, annuncia la portavoce del ministero degli Esteri, Maria Zakharova. La ragione la spiega il leader della diplomazia russa Sergei Lavrov, l'altro uomo simbolo di questa crisi, nel mirino delle sanzioni con Putin: l'azione militare russa - è la tesi del Cremlino - vuole «ripristinare un ordine democratico» a Kiev, contro un «regime» colpevole di «russofobia e genocidio», concetti rievocati dallo stesso Putin. «Noi siamo per la liberazione dell'Ucraina dal militarismo e dal neonazismo», ribadisce Lavrov. Non è un caso che Zar Vladimir lodi il suo esercito, ripetendo i più brutali copioni della storia. «I soldati russi agiscono con coraggio, in modo eroico e con professionalità», dice con orgoglio mentre da Kiev, poco dopo, Zelensky si mostra in video in mimetica, per provare che l'Ucraina tenta di resistere fino alla fine, pur se con fosche previsioni.
A Mosca intanto si studiano controsanzioni con le quali rispondere all'Occidente e i tribunali russi emettono le prime sentenze di condanna contro i manifestanti che giovedì, sfidando la repressione del Cremlino, sono scesi in piazza per manifestare contro l'attacco, fermati dalla polizia in 1800. Venti giorni di carcere inflitti a Ilya Fomintsev, direttore della Fondazione «Non invano» di San Pietroburgo, dove ieri si sono svolte nuove proteste, e dieci giorni di arresto per Kirill Goncharov, vice capo della sezione moscovita del partito d'opposizione Yabloko, considerato l'organizzatore delle proteste. «Per legge, questi cittadini non hanno il diritto di tenere manifestazioni ed esprimere il loro punto di vista a meno che non rispettino determinate procedure», ha spiegato il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov. Ma qualche piccola crepa nella Russia putiniana la mostra l'adesione della figlia dello stesso Peskov alla protesta virtuale contro l'aggressione, esplosa anche sui social.
Lisa Peskova, che vive tra Mosca e l'Europa, ha postato su Instagram uno schermo nero e l'hashtag #noallaguerra, che sta riempiendo le bacheche e i profili di molti russi. E se Putin elogia l'esercito, l'Unione europea rende «omaggio» al «coraggio» dei russi che stanno manifestando contro la guerra. «Sappiamo che Putin non è la Russia».
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