È certamente consapevole di essere un volpone della politica ma spesso si dimentica di non essere circondato da idioti che lo assecondano qualsiasi cosa faccia. Da quando lo scorso primo luglio ha assunto la presidenza di turno del Consiglio dei ministri dell'UE, Viktor Orbán si è accorto che l'Europa e il resto del mondo, non lo guardano con gli stessi occhi pieni di ammirazione che gli riservano a Budapest e dintorni. Anzi. E così, la sua decisione di andare nel giro di tre giorni prima a Kiev per incontrare Zelensky e poi a Mosca per un faccia a faccia con Putin non è piaciuta a nessuno. Ma ha avuto un merito imprevisto: ricompattare Ue e Nato. Contro di lui.
Del resto i segnali c'erano tutti. Il primo ministro ungherese ha tentato in fretta in furia di dimostrarsi un leader affidabile e credibile in grado di puntare sul dialogo. Ma rifarsi una verginità e parlare di «pace» dopo mesi, se non anni, di contiguità a Mosca, in cui si è messo ripetutamente di traverso agli aiuti e al sostegno occidentale Kiev può considerarsi una missione completamente fallita. D'altra parte lo slogan da lui scelto per la presidenza ungherese dell'Ue, «make Europa great again», mututato da quello di Donald Trump, era ben più di un indizio. Fatto sta che dopo essere tornato da Kiev e Mosca di fatto con nulla in mano, delegittimato da tutti, con Europa e Nato che hanno chiaramente specificato che i suoi tour non erano in rappresentanza di nessuna istituzione, ha deciso di rincarare la dose: «I preparativi della Nato per un'operazione in Ucraina contraddicono la natura difensiva dell'organizzazione e la minacciano di suicidio», ha detto ieri Orbán. «La Nato si sta avvicinando a un punto di svolta. Va ricordato che l'alleanza militare di maggior successo nella storia del mondo è iniziata come un progetto di pace, e il suo successo futuro dipende dalla sua capacità di mantenere la pace. Ma oggi l'ordine del giorno non è la pace, ma guerra, anziché difesa, offensiva. Tutto ciò contraddice i valori fondamentali della Nato». Ecco la vera faccia di Orbán. Un problema per l'Europa ma non solo, visto che a brevissimo, dal 9 all'11 luglio a Washington, si terrà un vertice Nato a cui lo stesso Orbán parteciperà.
«Ci sarà modo per discutere di questo viaggio al vertice», ha sottolineato il segretario generale dell'Alleanza Jens Stoltenberg, ribadendo in ogni caso che nel summit americano «aumenteremo il nostro sostegno all'Ucraina nel lungo periodo. Kiev deve prevalere e ha bisogno del nostro sostegno». Ma è evidente l'imbarazzo. In che modo i leader Nato potrebbero, tra le altre cose, spiegare le loro strategie militari e gestionali a un leader considerato una colonna del putinismo in Europa? Guarda caso, proprio ieri è stato annullato l'incontro previsto per domani tra il suo ministro degli Esteri ungherese Peter Szijjarto, e la sua omologa tedesca Annalena Baerbock. «Motici tecnici, cambio improvviso di agenda», la giustificazione ufficiale, cui però sono in molti a non credere. La novità relativa al vertice di Washington è che l'amministrazione americana starebbe lavorando a un incontro del presidente Joe Biden con il leader ucraino Volodymyr Zelensky.
«Ci stiamo lavorando», conferma una ota della Casa Bianca, ulteriore segnale di come l'indirizzo occidentale sia e rimanga di confermare il sostegno all'Ucraina. Nonostante le infruttuose fughe in avanti di chi è consapevole di essere furbo, ma non certo più di tutti gli altri.
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