Ormai è un'economia di guerra. Inflazione ai massimi dal 1991

I prezzi crescono del 6,7% annuo per colpa dell'energia. Disoccupazione in calo e boom di contratti a termine

Ormai è un'economia di guerra. Inflazione ai massimi dal 1991

Dalla pandemia alla stagflazione il passo è veramente molto breve. Il +6,6% registrato dal Pil l'anno scorso rischia solo di essere una parentesi in un contesto macroeconomico improntato al declino. È quanto emerge dai dati pubblicati ieri dall'Istat dai quali si ottiene la conferma che il 2022 rischia di essere un altro anno difficile per il Paese. Le cifre peggiori sono quelle dell'inflazione che a marzo ha segnato un incremento annuo del 6,7%, il valore più elevato dal luglio del 1991, anno in cui la guerra del Golfo aveva portato i prezzi del petrolio a sfondare quota 40 dollari al barile (ieri il Brent era a 108 dollari).

L'aumento dell'indice dei prezzi al consumo è dovuto ai prezzi dei beni energetici (+6,9% sul mese, +52,9% sull'anno). Il mese scorso sono cresciuti sia i prezzi dei Beni alimentari e per la cura della casa e della persona (+5,0%) sia quelli dei prodotti ad alta frequenza d'acquisto (+6,9%). L'«inflazione di fondo», al netto degli energetici e degli alimentari freschi, ha accelerato al 2,0 annuo e quella al netto dei soli beni energetici al 2,5%, segnale che il caro-energia si sta lentamente trasferendo a tutte le categorie di prodotti. Basti pensare che se i prezzi restassero fermi ai livelli attuali fino a fine anno, l'inflazione si attesterebbe al 5,3% annuo.

Il premier Mario Draghi ha assicurato che il governo farà «quanto è necessario» per ridurre l'impatto sui consumi. Ma è chiaro che scostamenti di bilancio e bonus non sono strade percorribili a lungo. «Il sostegno a carico del bilancio e del debito ha senso se l'aumento è temporaneo, se è permanente serve una risposta strutturale», ha spiegato il presidente del Consiglio che la prossima settimana dovrà varare un altro Def emergenziale. Il prolungato incremento dei prezzi, ha osservato l'Ufficio studi di Confcommercio, «allontana nel tempo la collocazione del punto di rientro delle pressioni inflazionistiche e, soprattutto, contribuisce ad abbassare quella relativa alla crescita economica».

Questo cambiamento di paradigma pone sotto un'altra luce le rilevazioni positive sul mercato del lavoro. A febbraio il tasso di occupazione ha raggiunto la cifra record del 59,6% (prima della pandemia era al 59%). Occorre, tuttavia, osservare che la percentuale dei lavoratori a termine sul totale dei dipendenti ha segnato un massimo storico al 17,7% (3,175 milioni di unità). Questo significa che, se il sistema produttivo subisse uno stop violento a causa del caro-prezzi, proprio in virtù del maggior ricorso alla flessibilità, la disoccupazione, che a febbraio è scesa all'8,5% (+777mila occupati in un anno), potrebbe nuovamente aumentare.

Ecco perché i sindacati sono tornati alla carica nei confronti del governo seppur con sfumature critiche diverse. «Ripresa debole e soprattutto precaria: non potremo mai parlare di crescita e sviluppo del Paese se non individuiamo immediatamente misure efficaci per rendere il lavoro stabile e di qualità», ha commentato la segretaria confederale della Cgil, Tania Scacchetti. «Il tema sono le assunzioni di durata troppo breve, dovute alla ripresa incerta che ora rischia di non riuscire a consolidarsi», ha evidenziato il segretario della Cisl Luigi Sbarra. Il premier Draghi ha convocato Cgil, Cisl e Uil a Palazzo Chigi per giovedì prossimo: sul tavolo le pensioni ma anche il welfare e le politiche occupazionali in vista del Def. Un altro tema che è destinato a spaccare la maggioranza visto che il ministro Andrea Orlando ha ribadito di essere favorevole a una riduzione delle tipologie contrattuali per «arginare il ricorso al lavoro precario».

Non sembra il miglior viatico per la discussione di contromisure alla sempre più probabile stagnazione economica.

«L'invasione russa in Ucraina è destinata a produrre ferite sociali ed economiche profonde», ha ricordato ieri il governatore di Bankitalia, Ignazio Visco, rimarcando che se la rottura del processo di integrazione economico-finanziaria non sarà risolta rapidamente, «potrebbe avere pesanti ripercussioni sull'approvvigionamento energetico, sull'inflazione, sulla domanda interna e sugli scambi internazionali». E se la Bce procederà sulla strada di una progressiva stretta monetaria, l'Italia pagherà un prezzo molto elevato.

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