Ospedale di Lugo. L'infermiera killer condannata a 30 anni di cella

L'ex infermiera dell'ospedale di Lugo, nel ravennate, Daniela Poggiali è stata condannata a 30 anni di carcere per l'omicidio aggravato di un suo paziente, il 95enne Massimo Montanari

L'infermiera Daniela Poggiali
L'infermiera Daniela Poggiali

L'ex infermiera dell'ospedale di Lugo, nel ravennate, Daniela Poggiali è stata condannata a 30 anni di carcere per l'omicidio aggravato di un suo paziente, il 95enne Massimo Montanari, deceduto il 12 marzo del 2014 nel nosocomio romagnolo. La donna il giorno dopo si sarebbe dimessa dall'incarico. La sentenza del processo in abbreviato è stata letta dal gup del tribunale di Ravenna Janos Barlotti.

La Poggiali, che attende il processo d'appello-ter per la morte di un'altra degente, non era presente in aula.

La condanna a 30 anni di ieri mattina in tribunale a Ravenna segue la richiesta di ergastolo che era stata formulata dai pm ravennati Alessandro Mancini e Angela Scorza. In base a quanto ricostruito dall'accusa, il 95enne Montanari era stato uno dei datori di lavoro dell'allora compagno di Daniela Poggiali la quale avrebbe pronunciato, davanti a una segretaria durante una pratica infortunistica dell'ex convivente, una frase minacciosa ritenuta come prova della premeditazione del delitto. «State attenti te e Montanari a non capitarmi tra le mani», avrebbe detto l'ex infermiera romagnola in base alla testimonianza resa durante il processo di primo grado in Corte d'Assise per l'omicidio di un'altra sua paziente, la 78enne Rosa Calderoni per cui Poggiali ora attende l'appello-ter così come deciso dalla Corte di Cassazione che ha annullato i due procedimenti precedenti.

Poggiali è già stata condannata all'ergastolo, incarcerata e poi assolta in appello per insufficienza di prove. La 48enne è difesa dagli avvocati Lorenzo Valgimigli e Gaetano Insolera che da sempre ne sostengono l'innocenza.

Ausl Romagna si è costituita parte civile diversamente dai parenti di Montanari che hanno scelto di non procedere. «Siamo sempre stati certi della responsabilità dell'indagata».

È quanto ha commentato il Procuratore capo di Ravenna Alessandro Mancini. Tra i 38 casi sospetti, la scelta è stata quella di portare a processo «il caso odierno sul quale abbiamo raccolto elementi che riteniamo a questo punto incontrovertibili».

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