A ltro che «brutta notizia». A differenza di Elly Schlein e del Pd, Giorgia Meloni e il suo governo hanno almeno cinque buone ragioni per guardare con ottimismo all'elezione di Donald Trump. Cinque ragioni che spaziano dalla politica alla strategia, dalla difesa all'hi-tech.
Senza dimenticare il rapporto con un Elon Musk nuova eminenza grigia dell'amministrazione Trump. Ma partiamo dalla politica. Oggi l'Italia è una delle poche nazioni dell'Unione Europea a guardare senza pregiudizi al ritorno di The Donald. In tutto ciò l'esecutivo di Giorgia Meloni è anche uno dei più invisi a quei governi europei che - d'accordo con il Pd nostrano - interpretano la vittoria di Trump come una sventura mondiale.
Per capirlo bastano le parole con cui i socialisti europei - tra un peana anti-Trump e una lacrima per Kamala - invitano a boicottare la candidatura di Raffaele Fitto alla vice presidenza della Commissione Ue. L'intransigenza delle sinistre europee promette, però, di giocare tutto a favore dell'Italia.
Anche perché Trump ben difficilmente sceglierà di schierarsi con chi si ostina a considerarlo un nemico della democrazia. In tutto ciò non va dimenticato quanto sparuta sia la pattuglia di leader e governi europei capaci di far ombra al nostro esecutivo e di offrire maggiori garanzie di stabilità. Di certo non lo è una Francia dove il presidente Emmanuel Macron reduce dalle batoste elettorali primaverili si rivolge ai partner Ue con un «Sveglia o saremo divorati». Un appello che alle orecchie di Trump suona come una chiamata alle armi anti-americana.
E ancor maggiore è la distanza da una Germania dove il barcollante governo del cancelliere Olaf Scholz affronta una crisi economica e industriale senza precedenti. Ma a far più testo della politica è forse il cammino strategico intrapreso dall'Italia negli ultimi anni. Dopo aver cancellato il «Memorandum sulla Via della Seta» voluto dai Cinque Stelle il nostro governo ha decisamente imboccato la via dell'Indo- pacifico. Una svolta suggellata dalla missione della portaerei Cavour, partita l'1 giugno scorso per una traversata di 152 giorni verso un Giappone diventato partner strategico di Italia e Gran Bretagna nello sviluppo del prossimo caccia di «sesta generazione». Ma la missione della Cavour, unica portaerei dopo quelle americane e britanniche a imbarcare gli F 35B, segnala soprattutto la disponibilità ad impiegare la nostra forza aereo-navale in una zona dove lo scontro con Pechino si fa sempre più concreto. Quest'ulteriore sintonia con un Trump sempre pronto a evidenziare il pericolo cinese sul fronte militare ed economico rappresenta indubbiamente un altro vantaggio. Ma l'impegno nell'Indo Pacifico non basterà a soddisfare le esigenze di un Trump già estremamente duro, nel precedente mandato, nei confronti degli alleati europei restii ad investire nella Difesa quel 2 per cento del bilancio considerato il minimo sindacale in base alle regole dell'Alleanza Atlantica. Un minimo sindacale da cui l'Italia resta ancora lontana.
I 26 miliardi scarsi messi a bilancio nel 2022 rappresentano appena l'1,56 del nostro prodotto interno lordo a fronte del 2,07 per cento investito dalla Francia e il risicato 1,33 della Germania. Ma far meglio per l'Italia non sarà facile. Mentre il ministro dell'economia Giorgetti annuncia un modesto incremento all'1,57 per il 2025 Antonio Tajani sottolinea dalla Farnesina l'impossibilità di arrivare al 2% senza violare i limiti imposti dal Patto di Stabilità europeo. A fronte di queste inadempienze l'Italia vanta però un ruolo da protagonista nelle più importanti missioni internazionali. Dalla guerra del Golfo nel 1991 fino a quelle nei Balcani passando per Somalia, Afghanistan, Iraq e Libano le nostre Forze Armate hanno partecipato da protagoniste alle più importanti operazioni guidate da Nato, Onu e Stati Uniti contribuendo di più e meglio rispetto a Germania, Francia e Gran Bretagna.
Un ruolo che soprattutto in Afghanistan è stato più volte riconosciuto dall'alleato americano. Sul piano strategico l'Italia può inoltre vantare la presenza sul proprio territorio di circa 120 basi militari condivise con Stati Uniti e Alleanza Atlantica. Una costellazione a cui nemmeno l'America di Trump potrà facilmente rinunciare. Sigonella, grazie ai suoi radar e ai suoi droni, è la sede dell' «Alliance ground surveillance», il programma che fornisce dati in tempo reale a tutti i paesi Nato. Ma Sigonella è anche la base da cui partono i droni diretti verso l'Ucraina e l'Africa o i voli capaci di portare a destinazione le unità delle forze speciali statunitensi. E altrettanto cruciali sono la base di Aviano con i suoi depositi di ordigni nucleari, quella di Napoli sede dell' «Allied joint force command» - uno dei due comandi operativi della Nato - e quella di Ederle a Vicenza dove sono di stanza migliaia di militari in forza alle unità aviotrasportate statunitensi.
Un'altra garanzia in ambito strategico è il rapporto sempre più organico stretto con gli Stati Uniti da Leonardo, l'azienda capofila del nostro settore Difesa. Ma il vero asso nella manica nei rapporti con gli Usa si chiama Elon Musk. Il proprietario di Tesla e Space X - nuova eminenza grigia di Trump per le telecomunicazioni e le tecnologie spaziali - è infatti estremamente interessato a nuovi investimenti nel nostro paese. Il principale riguarda Starlink, la rete satellitare capace di coprire le zone in cui è difficile o impossibile far arrivare la rete via cavo.
A quanto si sa il nostro governo starebbe studiando la possibilità di impiegare i circa 3,4 miliardi garantiti dal Pnrr nell'ambito dello sviluppo digitale per coprire con Starlink quelle zone d'ombra dello Stivale dove l'accesso ad internet è ancora precario o difficoltoso.
Ma tra le ipotesi vi è anche la realizzazione di un gigantesco complesso industriale destinato alla produzione di batterie per le auto elettriche e di accordi per l'allestimento di veicoli spaziali. Per l'Italia insomma il ritorno di Trump può rivelarsi non un rischio, ma una grossa occasione. Che Giorgia Meloni e il suo governo non hanno alcuna intenzione di gettare alle ortiche.
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