La pace solo con la resa di Kiev. La tela Usa per aggirare lo Zar

Minacce di missili su Helsinki (e Londra), referendum in Ossezia del Sud. Il negoziato con Mosca è impossibile

La pace solo con la resa di Kiev. La tela Usa per aggirare lo Zar

La Russia sarebbe stata disposta al dialogo, ma è la controparte ucraina a rifiutare negoziati seri. Abbiamo fatto del nostro meglio per evitare uno scontro diretto con l'Occidente, ma se ci hanno sfidato, ovviamente, lo accettiamo. Siamo in grado di devastare con i nostri missili la Finlandia in dieci secondi e la Gran Bretagna in duecento (ma anche Berlino o Parigi in poco più di un minuto e mezzo): intanto teniamo esercitazioni «difensive» a Kaliningrad, dove parte di quei missili si trovano... Si fa un gran parlare in questi giorni e particolarmente in Italia dell'urgenza di intavolare negoziati per porre fine alla guerra che da ottanta giorni ormai ha trasformato l'Ucraina in un vasto campo di battaglia, e di preferenza i nostri opinionisti e una bella fetta dei nostri politici si spendono (di solito in assenza di Mario Draghi) per suggerire alla parte aggredita di accettare sacrifici di ogni genere, a partire da rilevanti mutilazioni territoriali, in cambio dell'agognata da noi, ma non da Kiev pace. Il fatto che la parte aggreditrice non solo non mostri la minima intenzione di fermare i suoi attacchi (o anche solo di ridurne gli aspetti più inaccettabili), ma nemmeno rinunci alla sistematica falsificazione della realtà o a una propaganda di stampo terroristico, beh quello viene considerato un aspetto secondario o immodificabile.

Oltre agli esempi forniti all'inizio, altri non mancherebbero per ricordare a chi esorta alla pace subito che se chi aggredisce non intende fermarsi, la stessa parola dialogo (interlocuzione tra due parti) perde ogni significato. E che a quel punto pretendere che sia l'aggredito a fare concessioni diventa francamente immorale. Ci si può arrampicare sui vetri quanto si vuole, ma rimane un fatto: Putin la pace non la vuole, lo sa anche Macron che pure insiste a tessere la sua tela. Il suo obiettivo, l'ha detto di persona ancor prima del 24 febbraio e lo ha fatto ripetere innumerevoli volte ai suoi portavoce e «uomini politici», è la resa dell'Ucraina indipendente per trasformarla in uno Stato vassallo della Russia, strappandolo al «nazista» Zelensky.

Che questa sia l'intenzione, è fin d'ora chiaro sul terreno. Mosca ha già riconosciuto l'indipendenza delle due repubblichine filorusse del Donbass, in attesa di annetterle come già fece nel 2014 con la Crimea tolta all'Ucraina; si prepara a far tenere il solito referendum truccato nei territori meridionali ucraini di recente conquista, a cominciare dalla città di Kherson, per farli diventare province della Russia; continua a negare in ogni occasione qualsiasi legittimità al governo democratico di Kiev, salvo lamentare la sua scarsa propensione al dialogo (cioè a subire i diktat russi). Di che tipo di pace stiamo dunque parlando? Di quella concessa dal vincitore a chi si arrende senza condizioni: ti lasciamo vivere, ma farai ciò che vogliamo noi.

L'unico aspetto interessante dell'altrimenti inesistente capitolo «diplomazia al lavoro per la pace» sta nella recente presa di contatto americana con Mosca. Ma è legittimo chiedersi se non si tratti e nessuno può saperlo di sondaggi alla ricerca di interlocutori diversi da un Putin di cui si vociferano la debolezza politica e la cattiva salute. Il quale Putin continua intanto a perseguire un disegno che va oltre l'Ucraina. Le sue mani sono pronte (ammesso che ci riesca) ad allungarsi sulla debole Moldavia, priva di scudo Nato, ma anche dal Caucaso giungono novità poco rassicuranti: per il prossimo 17 luglio è stato annunciato nell'Ossezia del Sud (una provincia strappata alla Georgia con una breve guerra nell'estate del 2008 e ora nella galassia filorussa) un referendum sull'ipotesi di annessione a Mosca sulla cui tempestività perfino il leader filorusso locale esprime dubbi. Inutile chiedersi chi lo vincerà: lo sappiamo già.

In questo contesto, sostenere che la volontà di Finlandia e Svezia di unirsi alla Nato costituisca una minaccia per la Russia richiede molta ipocrisia: lo capisce un bambino che è vero l'esatto contrario. Triste, tristissimo, che anche in Italia venga spacciata questa bugia.

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