
Nessuno può negare, dico nessuno, la grandezza di Papa Francesco, il suo papato rivoluzionario, il suo desiderio di tornare alla Chiesa delle origini, alla Chiesa dei poveri e degli ultimi. In dodici anni è riuscito a ridare lustro ad un'autorità religiosa fiaccata dagli scandali, dalla pedofilia a quelli economici, che ne avevano messo a dura prova l'autorevolezza. Ci voleva una cura radicale improntata alla sobrietà, all'insegnamento di San Francesco per aprire le finestre e fare entrare aria nuova nel magistero apostolico. Per chi crede padre Bergoglio è stato un segno della provvidenza, un figlio dei tempi prezioso per un'opera che avrebbe potuto portare a termine solo un Papa venuto dalla fine del mondo, figlio ma anche nemico della globalizzazione e delle sue perversioni, un gesuita di quel filone dell'ordine che è stato artefice in Sud America della teologia della liberazione. Un riformista, un progressista, che abbandonando gli sfarzi del loggione di Raffaello per abitare a Santa Marta, usando la panda invece della mercedes nera con lo stemma di Pietro, preferendo il popolo dei credenti, degli umili, degli emarginati ai giochi oscuri della Curia Vaticana ha ridato speranza alla fede.
Era quello di cui aveva bisogno la Chiesa in questo inizio difficile di terzo millennio. Ma Bergoglio è stato anche, coerente con se stesso e con la sua visione dell'apostolato, un profeta disarmato, un uomo della pace a priori, che porge l'altra guancia anche a chi ha torto. Appunto, come il santo di Assisi. Un pontefice ossessionato dal rischio di una terza guerra mondiale, al punto di anteporre la pace a qualsiasi costo anche all'ingiustizia . Nella sua filosofia una pace ingiusta è sempre e comunque preferibile ad una guerra giusta.
Un Papa, quindi, votato alla Pace, un appassionato messaggero di Pace, non certo un Papa politico. Questo non toglie nulla al suo pontificato. Anzi. Ma ne mette in luce alcune contraddizioni. Non si può parlare di genocidio da parte di Israele a Gaza, se non si chiede nel contempo il disarmo di Hamas per evitare un conflitto futuro. Si può anche interloquire con la Russia, tentare il dialogo con ogni mezzo, ma non si può dimenticare chi in quella maledetta guerra è l'aggredito e chi è l'aggressore. Altrimenti, paradosso dei paradossi per Papa Francesco, ti ritrovi ad assumere sulla guerra in Ucraina - non me ne voglia nessuno - le stesse posizioni di Donald Trump. Se non hai questi concetti in mente non comprendi di fronte alla morte del Pontefice il silenzio del governo di Israele che ha cancellato anche i post di cordoglio e un certo disincanto da parte di Kiev - due atteggiamenti assolutamente sbagliati vale la pena ricordarlo - al cospetto dei sentiti, e ambigui, messaggi di cordoglio del Cremlino e di Hamas.
Non è una critica, lungi da me, perché non puoi aspettarti da un estimatore di San Francesco un approccio differente. Non si può pretendere da Bergoglio la postura che ebbe nelle crisi internazionali un Wojtyla, un Papa guerriero. Sono due modi diversi di intendere l'apostolato legati a due temperamenti, a due storie, a due momenti diversi. Giovanni Paolo II non si oppose all'installazione in Europa dei missili di Reagan che aprirono una corsa al riarmo che portò al collasso dell'economia sovietica. Non condannò l'intervento della Nato in Kossovo per salvare le minoranze albanesi dai crimini del regime di Milosevic. Furono obblighi sofferti da parte di un Papa guerriero per conquistare la Pace. Una pace giusta, appunto. Perchè non c'è Pace senza giustizia. E una Pace ingiusta è solo la premessa di una nuova guerra. Ecco perché nella lotta alle ingiustizie del mondo risuonano ancora oggi le sue parole: «Non abbiate paura».
Questo non significa contrapporre il Papa pacifista al Papa guerriero, come non si può mettere in antitesi il messaggio misericordioso di San Francesco con
l'immagine della battaglia tra il Bene e il Male di Sant'Agostino. Papa Bergoglio e Papa Wojtyla sono due modi differenti di perseguire la Pace credendo - è quello che importa - nella stessa Fede e servendo un unica Chiesa.
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