Milano. La paura del virus, le contromisure sanitarie, le accuse politiche di «discriminazione», stavolta in arrivo direttamente da Pechino.
Sembra una coazione a ripetere. Eppure, il nuovo allarme Covid è realtà. E con esso un incubo globale. Parte ancora dalla Cina, dove il virus sembra ormai fuori controllo. Gli altri Paesi tentano di arginare l'allarme e anche l'Italia, attivando gli strumenti sanitari a disposizione, prova a difendersi dalla riedizione dell'incubo, stabilendo tamponi per i passeggeri in arrivo dalla Cina. Nel frattempo l'Europa tentenna, ma intanto Pechino fa la voce grossa.
Protesta, il regime, e chiama in causa anche il nostro Paese, accusato con altri di voler «diffamare» la Cina e «sabotare» i suoi tentativi di contenere il Covid. Scende in campo il Global Times, tabloid del Partito Comunista, e mette sul banco degli imputati gli Stati dipinti come ostili. Mentre «la maggior parte dei Paesi in tutto il mondo» avrebbe «accolto con favore l'iniziativa della Cina di aprirsi» - questa la tesi - «un piccolo numero di Paesi e regioni, come Usa e Giappone vede la riapertura della Cina come un'altra possibilità per diffamare Pechino». L'editoriale parla di addirittura di uno «sporco trucco politico» per «sabotare i 3 anni di sforzi cinesi nella lotta al Covid e per attaccare il sistema». E l'Italia viene citata in questi termini: «Sta imponendo test obbligatori per i viaggiatori che arrivano dalla Cina, eppure il suo governo ha detto che non è stata trovata alcuna nuova mutazione nei recenti arrivi».
Eccola, dunque, la ricostruzione di regime. «La Cina non ha mai smesso di monitorare le varianti prevalenti - assicura il partito - e non lascerà mai che nuove varianti non vengano segnalate», mentre un esperto ammette che una nuova ondata di infezioni può far emergere altre varianti, ma poi puntualizza che «il recente aumento dei casi in Cina è solo una goccia nell'oceano rispetto al conteggio globale, ed è più probabile che la Cina debba affrontare nuove varianti provenienti dall'estero piuttosto che il contrario».
Al di là delle versioni ufficiali, e di comodo, pare che in Cina circa 9mila persone al giorno stiano morendo a causa del Covid. Citata dal Guardian, lo stima la società di ricerca britannica «Airfinity». I decessi in Cina dal primo dicembre potrebbero aver raggiunto quota 100mila per un totale di oltre 18 milioni di contagi, ha aggiunto la società, prevedendo un picco di nuovi casi il 13 gennaio: 3,7 milioni al giorno.
Di fronte a scenari simili, l'Italia non è certo l'unico Paese ad aver reagito. Ha fatto da «apripista» in Europa, ma per primi si sono mossi alcuni Paesi asiatici, dall'India al Giappone. Ormai l'obbligo di test in aeroporto vige anche negli Usa e da ieri in Israele, in Gran Bretagna e in Francia, ultimi in ordine di tempo ad annunciare la stretta, adottata anche dalla Spagna, che chiede un test negativo o la prova di un percorso vaccinale completo.
L'Oms giovedì sera ha dato man forte al fronte dei Paesi prudenti, chiedendo alla Cina «informazioni più dettagliate». Il capo dell'Organizzazione mondiale della Salute Tedros Adhanom Ghebreyesus ha definito «comprensibili» le misure di protezione prese per contrastare la diffusione del Covid. «In mancanza di informazioni complete da parte della Cina - ha scritto su Twitter - è comprensibile che alcuni Paesi decidano misure per proteggere la propria popolazione». «Siamo preoccupati per l'evoluzione della situazione - ha aggiunto - e continuiamo a incoraggiare la Cina a tracciare il virus e a vaccinare le persone a rischio». E ieri anche l'Europa ha corretto il tiro. Due giorni fa il Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie aveva definito «ingiustificato» lo screening, ma ieri la commissaria alla Salute Stella Kyriakides, dopo la riunione dell'Health Security Committee, è stata molto chiara.
«Alla luce dell'abolizione delle restrizioni ai viaggi annunciata dal governo cinese - ha scritto in una lettera inviata ai 27 Paesi membri - invito a rimanere molto vigili poiché i dati epidemiologici o i test affidabili per la Cina sono piuttosto scarsi, la copertura vaccinale generale in Cina è bassa e non esiste una decisione di equivalenza tra i certificati di vaccinazione o di guarigione cinesi e il certificato digitale Covid-19 dell'Ue».
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