Isfahan è l'altra metà del mondo. È così che la chiamano, per la sua bellezza, per il blu persiano delle sue cupole, lì dove Abbas il Grande aveva costruito la capitale della dinastia safavide. Isfahan adesso non si nasconde più e la sua gente sfila a volto scoperto e riempie piazza Imam, così grande che solo Tienammen può sfidarla. È il segno che in Iran il regime degli ayatollah è nudo. Può usare la forza e lo fa, ma non ha più legittimità. La rivolta delle ragazze senza velo è un canto di libertà e ora gli uomini le seguono, come se quelle martiri chiamassero in causa il loro coraggio. Non si può più fare finta di nulla. La meta è fare i conti con quella rivoluzione che nel 1979 gettò le basi di una teocrazia totalitaria. È una sfida che non può sperare nell'appoggio straniero. È una lotta da fare da soli, con la solidarietà del mondo, ma l'arrivo dei nostri non è previsto, perché finirebbe per dare ragione alla propaganda degli ayatollah. Ci sono momenti nella storia in cui la democrazia va conquistata piazza per piazza, strada per strada, contro le parate organizzate dal regime. È per questo che le parole di Joe Biden non fanno bene a chi si batte contro la dittatura. Sono inutili e dannose. «Libereremo l'Iran. Si, libereranno molto presto». Quando? Come? Davvero?
Il presidente degli Stati Uniti ha risposto alla domanda di un elettore californiano che dalla platea urlava «Iran libero». Certo. Ma è quel« libereremo» che stona. Non tocca a loro. Non tocca agli americani. Non sbandierando ai quattro venti un appoggio che in questo momento è un miraggio, dando buon gioco a Ebrahim Raisi di replicare: «L'Iran è stata liberata 43 anni fa».
Il guaio è che Biden si sta limitando a utilizzare l'Iran come strumento elettorale. L'America finge, l'America parla, l'America è lontana.
Non ha capito nulla di quello che sta accadendo lì. Non vede la forza di chi è disperato, di chi scopre i capelli, di chi se li taglia, di chi fa volare i turbanti dei religiosi, di chi mette in gioco la propria vita per rivendicare quei diritti che in Occidente sono dati per scontati. No, non sarà per i diritti che gli Stati Uniti si muoveranno. Non libereranno nessuno. L'Iran vista da Washington è un tormento nel cuore del medio Oriente. È lo Stato canaglia che vuole l'atomica. È in questi giorni l'alleato irriducibile di Mosca. «Entrambi i Paesi - dicono alla Casa Bianca - vogliono sputare in faccia al diritto internazionale che il resto del mondo rispetta». Ecco. La questione è geopolitica, quella umana rischia di essere solo un alibi.
È per
questo, purtroppo, che le parole di Biden non servono a nulla e sono dannose. Non danno una speranza. Non rendono più fragile il regime. Non porteranno la democrazia in Iran. Non daranno un senso al martirio di Mahsa Amini.
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