Matteo Renzi ha un obiettivo: mettere il sigillo sulla scelta del prossimo presidente della Repubblica. Oggi inizia il semestre bianco: nei prossimi sei mesi il Capo dello Stato Sergio Mattarella non potrà sciogliere le Camere. La regola fu inserita all'articolo 88 della Costituzione per evitare che il presidente uscente potesse procedere a nuove elezioni per avvantaggiare una maggioranza politica favorevole alla sua rielezione. Con una sola eccezione: la prerogativa di scioglimento delle Camere resta nelle mani del presidente della Repubblica nell'ipotesi in cui gli ultimi sei mesi coincidano con la fine della legislatura. Non è questo il caso: il Presidente Mattarella concluderà il settennato nel mese di febbraio del 2022. La legislatura termina nel 2023. L'inquilino del Colle mantiene altre prerogative tra cui il potere di nomina: in caso si arrivasse a una crisi dell'attuale governo, il presidente Mattarella non può sciogliere le Camere ma conserva la facoltà di incaricare una personalità che guidi il governo per il tratto finale della legislatura. E sempre a lui resta in capo il potere di nominare i ministri su proposta del presidente del Consiglio.
Con l'inizio del semestre bianco le trattative per la partita Quirinale entrano nella fase calda. Matteo Salvini non scopre le carte: «Ne riparleremo a febbraio». Renzi, con i suoi 45 parlamentari (28 deputati e 17 senatori), punta essere il regista dell'operazione Colle. I numeri incoraggiano le ambizioni del leader Iv: la frammentazione del quadro politico rende quasi impossibile l'elezione di nuovo capo dello Stato nei primi tre scrutini, dove è richiesta la maggioranza dei due terzi. Solo la candidatura del premier Mario Draghi può, al momento, chiudere la partita nelle prime tre votazioni. Il collegio elettorale, che eleggerà il presidente della Repubblica, sarà formato da 1008 componenti: 629 deputati, 321 senatori e da tre delegati per ogni Consiglio regionale, due dei partiti di maggioranza e uno dell'opposizione (ad eccezione della Valle d'Aosta, che ha un solo delegato). Nei primi tre scrutini serviranno 673 voti su 1008. Il quorum si abbassa dal quarto scrutino: ne serviranno 505 su 1008.
Ecco che il «dopo Mattarella» diventa una partita a scacchi con incastri e alleanze trasversali. Renzi ha due nomi sul tavolo: l'ex presidente della Camera Pier Ferdinando Casini e il ministro della Giustizia Marta Cartabia. Sono i due nomi di partenza, per imbastire la trattativa. Casini è il profilo da mettere subito in campo. C'è il sospetto che sia solo una mossa di depistaggio: lo specchietto per le allodole. C'è un dato da non sottovalutare: il nome dell'ex presidente della Camera potrebbe raccogliere un voto trasversale, dal Pd al centrodestra. Se non passasse Casini, si andrebbe su Marta Cartabia. Però dopo le tensioni sulla riforma del processo penale, le quotazioni del ministro della Giustizia sono fortemente in calo. E dunque potrebbero risalire le chance di Casini. Renzi gioca su due tavoli: Pd e centrodestra. E vorrebbe portare sulle proprie posizioni il movimento Coraggio Italia di Giovanni Toti e Luigi Brugnaro, la cui pattuglia parlamentare potrebbe diventare determinante dal quarto scrutino in poi. Renzi tiene in caldo la trattativa con Silvio Berlusconi. Al Cavaliere, dal quarto scrutino in poi, mancherebbero 51 voti: il centrodestra, tra delegati regionali e gruppo misto, parte da quota 454. Con i 45 voti renziani, l'obiettivo è a un passo. Altra opzione, che gira negli ambienti di centrodestra, porta al nome di Marcello Pera, ex presidente del Senato in orbita Lega. Ma il centrodestra teme la solita «renzata»: il leader Iv potrebbe cambiare campo e tentare l'intesa con Pd e Cinque stelle su un presidente di sinistra.
Il riavvicinamento con Letta è un indizio. D'altronde è recidivo: nel 2015 aveva un accordo con Forza Italia per eleggere Giuliano Amato. Alla fine virò su Sergio Mattarella, nome gradito a Pier Luigi Bersani e alla sinistra Pd.
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