Mentre il Conte Bis inizia a governare, le partite iva si organizzano. Con l'addio (ormai annunciato dal governo) alla flat tax, le piccole e medie imprese temono l'ennesimo "inferno fiscale" e si preparano a lanciare un nuovo soggetto politico rivolto a chi produce. Andrea Bernaudo, presidente e fondatore dell'associazione Sos Partite Iva, raggiunto telefonicamente dal Giornale.it spiega in che cosa si articola il futuro progetto politico e per quale motivo, secondo lui, è necessario che Liberisti Italiani si affacci sul panorama politico contemporaneo.
Dottor Bernaudo, perché è nata l’esigenza della nascita di un nuovo partito?
Perché in Italia, da moltissimi anni, si sono avvicendati partiti politici che hanno promesso di tagliare le tasse, di avere in considerazione le attività produttive, di diminuire il carico burocratico, la spesa pubblica e il debito. Noi, però, abbiamo visto che, nel corso degli anni, è accaduto esattamente il contrario.
Cioè?
Ormai le attività produttive, in Italia, vivono all’interno di un inferno fiscale. Noi abbiamo lanciato, con SOS Partita Iva, un grido d’allarme: abbiamo fatto proposte specifiche, sia in ambito europeo sia sul terreno interno, però abbiamo visto che molte di queste non sono state raccolte. Da qui l’idea dell’associazone di impegnarsi per la costruzione di un soggetto politico che possa confrontarsi con gli altri, per cercare di portare avanti le nostre idee e le nostre proposte. E il terreno sul quale dobbiamo muoverci si ispira al liberismo economico.
A chi è rivolto il messaggio di questo partito?
A tutti, perché tenga conto che, come diceva Margaret Thatcher, non esistono i soldi pubblici, esistono i soldi dei contribuenti. Nel momento in cui le attività produttive, le Partite Iva e le imprese non producono, chiudono, delocalizzano, vivono male, viene annientato l’entusiasmo e annichilita la creatività imprenditoriale degli italiani, lo Stato si ferma. Così si fermano tutti, non solo le attività produttive. Si fermano anche i figli dei dipendenti pubblici, per esempio, che vogliono aprire un’attività o una partita iva. Per noi questo è un tema che riguarda chiunque, indistintamente, non è un problema di categoria.
Quale spazio vorrà occupare questa nuova formazione nella politica italiana?
La prima cosa che dobbiamo fare è esistere. Noi abbiamo lanciato un appello e devo dire che, da ieri, stiamo facendo fatica a rispondere a tutte le adesioni che stanno arrivando. Abbiamo l’obiettivo di arrivare a mille adesioni vere, cioè di persone che intendono occuparsi di politica e sacrificare il proprio tempo per la costruzione di un partito. Convocheremo la prima assemblea di liberisti italiani, che sarà fondativa, recuperando l’esperienza e le proposte di Sos Partita Iva, che rimane in campo, e di tutte le proposte portate dagli aderenti. Da qui partiremo con tutto ciò che serve per andare avanti come partito politico.
Avete pensato a una collocazione politica?
Sicuramente noi non staremo mai con gli statalisti, perché questo è il vero problema che c’è in Italia. Gli statalisti sono in tutti gli attuali partiti politici: di destra, di centro e di sinistra. Non staremo certo con quelli che hanno sempre combattuto il liberismo economico: in Italia non c’è mai stato nemmeno un anelito di liberismo economico, tant’è vero che noi siamo quasi ultimi nella classifica dei Paesi per quanto riguarda le libertà economiche, siamo uno dei Paesi più tassatori del mondo. I contribuenti italiani, dal punto di vista della giustizia tributaria, sono considerati dei presunti evasori. In Italia il liberismo non c’è. È stata perpetuata, negli anni, una mistificazione ed è stata condannata una dottrina economica senza averla mai attuata. Tutto questo a beneficio di un capitalismo di relazione, imperante in questo Paese, che è il frutto marcio dello statalismo, che qui è ceto dominante.
Che cosa pensa del Conte-bis?
Dovremmo vedere quello che accade nel provvedimento economico, valuteremo la legge di bilancio messa in campo. Dagli annunci e dalle prime dichiarazioni, mi pare, però, che sia stato fatto un passo indietro rispetto al governo precedente per quanto riguarda partite iva, attività produttive e imprese. Non mi pare che questo governo voglia mettere al primo punto del proprio programma la liberazione delle attività produttive dal cappio dello Stato, che è un cappio fiscale, burocratico, contributivo. Però noi ci misuriamo sui provvedimenti veri e propri. E devo dire che anche il precedente governo, sulla questione dell’allargamento del regime forfettario, non ci aveva completamente soddisfatto: è vero che aveva avvantaggiato una piccola platea di partite iva (e quindi il fatto di diminuire il carico fiscale, anche se per una piccola platea di persone, è una cosa che va sempre vista con un occhio benevolo), però c’era un errore prospettico.
Perché?
Perché nel momento in cui tu metti dei tetti, in realtà, è come se dicessi a chi produce e a chi lavora che se si produce fino a un certo punto lo Stato sarà ‘clemente’, mentre se si va oltre c’è il ‘massacro’. Questo non mi sembra l’incipit di uno stato liberale e di un’economia che vuole andare avanti. Ma mi sembra un modo di tarpare le ali ai più bravi e questo non va bene.
Qual è la soluzione, secondo lei?
Noi dobbiamo andare verso una tassazione uniforme e proporzionale di tutte le attività produttive. La nostra proposta è che chiunque abbia una partita iva (freelance, una ditta individuale, una società anche media e grande) debba avere una stessa tassa proporzionale sul fatturato, per noi del 15%: non ci devono essere distinzioni nell’ambito della stessa categoria di contribuenti.
E per i dipendenti pubblici e privati?
Anche nel caso dei dipendenti pubblici e privati va diminuito il carico fiscale, ma si può mantenere la progressività, perché, chiaramente, non è giusto che un dipendente con un reddito altissimo, senza assumersi rischi, debba avere una tassazione eguale a un collaboratore o una segretaria che lavora in amministrazione, per esempio, che ha un reddito basso. Nell’ambito del lavoro dipendente si può mantenere la progressività, ma diminuendo gli attuali scaglioni, mentre per quanto riguarda l’attività di impresa e le partite iva dev’esserci un’unica tassa sulle attività produttive proporzionale, perché il merito deve emergere: non è possibile che se fatturi, se sei bravo e crei lavoro devi essere penalizzato rispetto a chi rimane all’interno di un fatturato, quello di 65mila euro, previsto dal precedente governo, che è circa il sostentamento minimo di un single, tasse pagate.
Che bilancio fa dell’esperienza di governo giallo-verde?
Diciamo che per come è finita, probabilmente, non doveva proprio iniziare, che non c’erano della basi politiche, strategiche che potevano giustificare un’alleanza di governo. Credo che nelle intenzioni dei due partiti, inizialmente, ci fosse della buona fede, perché hanno iniziato per fare un percorso. In politica, però, non esistono contratti ma alleanze che puntano a fare delle determinate cose, che possono essere di interesse per i contribuenti e i cittadini. Mischiare le mele con le pere non fuziona: una forza politica che dice di volere aiutare le imprese, attraverso la riduzione delle tasse, insieme a una forza politica che vuole stabilire il reddito di cittadinanza, è evidente che avrà difficile coabitazione. È stata un’esperienza forzata dalla legge elettorale, che andava evitata. Sarebbe stato preferibile, non essendoci un quadro politico serio, tornare subito a elezioni e avere un governo più omogeneo che durasse per tutta la legislatura, sulla base non di un contratto ma di una comunanza di idee e di progetti utili per il Paese.
Che cosa pensa del nuovo programma economico di questo esecutivo?
Più che un programma è un manifesto: sono molti annunci, tante buone intenzioni. Non ho visto un interesse particolare per le attività produttive. Ripeto: un Paese non è libero se non ha libertà economica e l’Italia non ha una piena libertà economica, è compressa. Oggi, ciò che serve, è liberare le imprese e sviluppare negli italiani la voglia di crederci. Quando la sinistra parla di lavoro a noi sembra che lo faccia in modo astratto.
In che senso?
L’unico lavoro che esiste è quello che viene da un’attività di impresa, perché se questa non c’è, non c’è occupazione, gli Stati non vanno avanti, non possono offrire posti di lavoro pubblici, non possono garantire servizi. Lo Stato senza un Pil non cammina e il Pil è fermo. Se non si inizia da qui, l’Italia non riparte. Ecco perché c’è l’esigenza di andare a coprire un vuoto politico, con l’affermazione di un partito che si ispiri fieramente al liberismo. In Italia c’è bisogno di una ventata di Margareth Thatcher, di 20 anni di sano liberismo, di concorrenza, di mercato, di merito, di opportunità.
Che cosa intende?
Questo non vuol dire dimenticare gli ultimi, il contrario. Significa che lo Stato si deve occupare di poche cose e lo deve fare bene. Le imprese vanno lasciate produrre, serenamente. In Italia, invece, le imprese sono considerate dei presunti evasori, perennemente sul banco degli imputati. Serve un cambio di prospettiva, anche culturale, oltrechè politico.
La flat tax sembra in bilico. Come pensa che finirà?
Quando il ministro Roberto Gualtieri dice che la flat tax verrà eliminata perché dava qualcosa a chi aveva di più, io ho i brividi.
Come mai?
Perché le tasse non danno nulla, ma semmai tolgono. È una visione che noi dobbiamo assolutamente combattere. Di flat tax si parla da anni, dal 1993.
Dobbiamo prendere atto che questo concetto è stato consumato e dobbiamo andare verso un’altra impostazione: chi esercita un’attività produttiva e chiunque è titolare di una partita Iva ha diritto a ciò che in America, in Inghilterra, in Irlanda si chiama “corporate tax”, una tassa sulle attività produttive uguale per tutti, dove vince il merito.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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