"Un partito smarrito e senza guida che sta ritornando al massimalismo"

Il senatore che ha detto addio al Pd: "Letta preferisce Fratoianni a Calenda"

"Un partito smarrito e senza guida che sta ritornando al massimalismo"

La goccia che ha fatto traboccare il vaso è stata la gestione opaca delle trattative per le liste dei candidati stilate del Pd pugliese, capitanato dal governatore Michele Emiliano. Ma le ragioni che hanno spinto il senatore Dario Stefàno a riconsegnare la tessera del partito alla vigilia della «notte dei lunghi coltelli» sono più profonde.

Perché il passo indietro?

«Il Pd ha deciso di affrancarsi dalla sua parte moderata e riformista. Stiamo assistendo a una torsione massimalista che cancella i tentativi per provare a costruire un campo largo progressista. Basta guardare alla chiusura a priori a Italia viva, come alla scelta di preferire Bonelli e Fratoianni a Calenda».

Se a denunciare la deriva massimalista è uno come lei, che è sempre stato un ultrà di sinistra, siamo al paradosso.

«Non sono stato mai massimalista, né un ultrà di sinistra. Nel Pd, unico partito al quale sono stato iscritto, ho animato l'area riformista e moderata, e la disponibilità al dialogo mi viene riconosciuta in modo bipartisan».

Ha detto che il Pd ha fatto degli errori. A quali si riferisce?

«Percepisco uno smarrimento nella guida del partito: parliamo di pari opportunità e poi in Puglia, ma non solo, tutti i capilista sono uomini. Per l'elezione del presidente della Repubblica siamo andati a rimorchio di Conte. E oggi il quadro delle alleanze di Letta tradisce la tradizione moderata e europeista del Pd».

A proposito, che ne pensa del suo, ormai ex, leader?

«Credo che debba ancora dimostrare le sue capacità. Ha sempre giocato di rimessa e quando ha avuto il boccino in mano non ha brillato per lungimiranza. La sera prima della caduta del governo Draghi ci ha detto che l'indomani sarebbe stata una bellissima giornata. Sappiamo tutti come è andata a finire».

Il Pd tornerà alleato del M5s?

«Non mi stupirei, sta dimostrando un pericoloso deficit di coerenza».

Lei si era autosospeso dal Pd mesi fa, perché in contrasto con Emiliano.

«Sì, denunciavo un'assurdità: alle comunali di Nardò, una realtà importante del mio Salento, il Pd aveva un proprio candidato sindaco e poi è arrivato l'endorsement palese di Emiliano all'avversario di destra con simpatie per Casapound, che probabilmente oggi sarà candidato con la Lega. C'è un limite a tutto».

Poi però aveva ritirato l'autosospensione. Come è arrivato alla rottura definitiva?

«L'avevo fatto su invito di Letta che mi aveva chiesto di rientrare per ripulire il Pd pugliese da queste storture. Ma poi ha appaltato la rappresentanza parlamentare dei territori a candidati civici che ne sono espressione».

Si riferisce al capo di gabinetto di Emiliano, Claudio Stefanazzi, che in passato è stato indagato?

«Sono da sempre un garantista e che resto tale. La criticità di questa scelta ricade nella mortificazione della rappresentanza politica in favore di un civismo opaco e trasformista che finora ha solo fatto perdere voti al Pd».

Che ne pensa degli altri colleghi esclusi?

«Trovo che sia autolesionistico rinunciare a persone significative come Nannicini e Ceccanti. È stato tolto scientemente il seggio a due delle voci più autorevoli del Pd. Scelta grave soprattutto se saremo chiamati a difendere Stato sociale e Costituzione».

E il suo futuro politico come lo

vede?

«Sono entrato in politica perché volevo contribuire a una proposta capace di tenere insieme istanze sociali e d'impresa. Di certo lo spirito era quello di servire le istituzioni, non di servirmene. E quello è rimasto».

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